Il Parlamento spagnolo ha bocciato la legge di bilancio e di conseguenza, come aveva annunciato il premier socialista Pedro Sanchez ha deciso di mettere fine alla legislatura e indire le elezioni anticipate da tenersi al più presto. Per respingere la Finanziaria sono stati decisivi i partiti nazionalisti catalani che, non avendo ottenuto alcuna apertura dal governo sulla questione dell’indipendenza della loro regione, hanno negato il loro appoggio a Sanchez. Salvo ripensamenti o nuovi accordi, in questo momento non ipotizzabili, i cittadini spagnoli saranno chiamati a votare nei prossimi mesi.
Lo scontro di Sanchez con gli indipendentisti catalani
Sanchez aveva messo a punto la legge di bilancio assieme alla sinistra radicale di Podemos ma aveva bisogno del sostegno dei
partiti regionali nazionalisti: i socialisti (con soli 84 deputati sui 350 della Camera bassa) assieme a Podemos (67 deputati)
potevano contare su 151 voti. I secessionisti catalani, che si erano uniti alla sinistra nello sfiduciare il governo conservatore
di Mariano Rajoy solo otto mesi fa, erano quindi necessari per la sopravvivenza di Sanchez. Ma sia Erc, la Sinistra repubblicana
catalana, che PdeCat, i nazionalisti di centro catalani, hanno deciso di affossare il budget, dopo avere incassato la totale
chiusura di Sanchez alla a convocare un referendum sulla secessione della regione di Barcellona: al termine del dibattito
in aula, 158 parlamentari hanno votato a favore della Finanziaria, 191 sono stati invece i contrari, con un’astensione. Dopo
la votazione in Parlamento, il ministro del Tesoro, Maria Jesus Montero, ha attaccato duramente i partiti separatisti catalani
e l’opposizione: «Questo governo - ha detto - è sempre stato aperto al dialogo all’interno delle leggi spagnole. Ma è ovvio
che questo dialogo deve avere dei limiti. Abbiamo ripetuto la stessa cosa fin dall’inizio: «Non metteremo mai un referendum
sull’autodeterminazione della Catalogna nella nostra agenda».
Il voto a fine aprile e i sondaggi elettorali
Sanchez ha subito convocato il Consiglio dei ministri che si riunirà venerdì e stabilirà la data delle elezioni anticipate:
il 14 aprile è la prima data possibile ma, secondo fonti vicine alla Moncloa, la data più probabile sarebbe il 28 aprile,
mentre resta possibile la scelta del 26 maggio, nella stessa domenica delle elezioni europee.
Secondo gli ultimi sondaggi elettorali realizzati dal Cis (il Centro de investigaciones sociologicas), i Socialisti di Sanchez
raccoglierebbero oggi il 29,9% dei consensi ma pur essendo il primo partito difficilmente potrebbero guidare una coalizione
capace di raggiungere la maggioranza in Parlamento: Podemos è infatti indicato al 15,4% e con i catalani vicini al 6% si riproporrebbe
lo scontro di queste ore. Nemmeno i partiti di destra riuscirebbero a superare il 50% dei consensi con Ciudadanos al 17,7%
davanti ai Popolari fermi al 14,9% e a Vox, il movimento xenofobo, al 6,5 per cento. Alcuni sondaggi dell’ultima ora sembrano
invece accordare maggiore favore alla coalizione di destra nella quale, come accade in Andalusia, proprio Vox finirebbe per
essere decisivo. La campagna elettorale è tuttavia destinata a modificare anche profondamente i rapporti di forza, intrecciando
temi economici e sociali, con la questione catalane. La frammentazione sembra il dato dominante della prossima contesa politica,
come mai era accaduto nella storia democratica del Paese: all’alternanza tra Popolari e Socialisti, si sono aggiunti, negli
anni della grande crisi economica, Podemos a sinistra e Ciudadanos a destra. Mentre la crescita dell’estrema destra di Vox
è un fenomeno degli ultimi mesi, del tutto inedito in Spagna e nato come risposta alle spinte secessioniste catalane.
Il processo ai leader catalani aumenta le tensioni
Tra Madrid e Barcellona, si stanno intrecciando, pericolosamente, le rivendicazioni catalane e le strategie dei diversi partiti,
di destra e di sinistra. Il processo ai leader indipendentisti che ha preso il via ieri è destinato a generare nuove tensioni.
Sanchez si è sempre mostrato più morbido del suo predecessore Rajoy nei confronti della Catalogna, ma come Rajoy, si è rifiutato
di barattare i voti in Parlamento con la concessione di un referendum sulla secessione. Non ha mai minacciato di tornare a
commissariare la Generalitat ma ha fatto capire - rifacendosi «al rispetto della Costituzione spagnola» - di non volersi spingere
oltre una revisione dell’attuale Statuto catalano per concedere più autonomia alla regione.
Per parte loro, gli indipendentisti catalani che ieri hanno bocciato la Finanziaria di Sanchez sanno che avrebbero tutto da
perdere se nelle elezioni anticipate dovesse prevalere un’alleanza delle destre. Ma nel voto sulla legge di bilancio hanno
dimostrato di preferire lo scontro continuo con Madrid a un compromesso politico con la sinistra.
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