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Brexit, il parlamento boccia il piano di May con 391 voti contrari

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Servizio |nuova BATOSTA PER LA PREMIER

Brexit, il parlamento boccia il piano di May con 391 voti contrari

Theresa May (Epa)
Theresa May (Epa)

L’appello di Theresa May non ha fatto breccia. La Camera dei Comuni britannica ha bocciato il 12 marzo con 391 voti contrari (contro i 242 favorevoli, per uno scarto di 149 voti) l’accordo di Brexit siglato dalla premier con i partner europei, e aggiornato nella notte dell’11 marzo dopo un round di negoziati in extremis con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Le «assicurazioni legali» ottenute da May sulla reversibilità del backstop, il divieto di erigere barriere fisiche tra Irlanda e Irlanda del Nord, non sono bastate a convincere un parlamento da sempre ostile all’accordo del primo ministro. Il colpo di grazia è stato inflitto, soprattutto, dal parere di Geoffrey Cox, il procuratore generale che ha partecipato attivamente alle ultime sessioni dei negoziati ed è chiamato a fornire una consulenza legale sul divorzio. Cox ha dichiarato che «non si potevano escludere rischi» sulla permanenza del backstop, inclinando al no le fronde più radicali dei deputati pro-Brexit, a partire dei conservatori dello European research group (Erg) e il drappello dei Democratic unionist party (il partito degli unionisti nordirlandesi).

Cosa succede nelle prossime 48 ore
Il nuovo flop del piano di May, dato quasi per scontato dopo un dibattito al veleno in Parlamento, spiana la strada a due giorni di votazioni. May si dichiara determinata ad andare avanti con l’agenda che aveva fissatoin caso di bocciatura della sua mozione: se il suo piano salta, come è successo, i parlamentari dovranno dire - nell’ordine - se vogliono un accordo e se preferiscono chiedere alla Ue un rinvio. Il 13 marzo la Camera dei Comuni sceglierà fra un’uscita con o senza intesa: insomma, la famosa Brexit «no deal» che ha spinto gli ex partner europei a correre ai ripari per atturire i contraccolpi del divorzio. Se passerà la linea dell’accordo, come sembra probabile, i deputati dovranno votare il 14 marzo in favore o contro a un’estensione dell’articolo 50, il meccanismo istituito dal trattato sulla Ue per disciplinare l’uscita di uno Stato membro. Con «estensione» si intende, semplicemente, un rinvio rispetto alla data fissata oggi (29 marzo 2019) per avviare il divorzio e una fase di transizione di due anni. Quest’ultima chance viene considerata come lo sbocco naturale di un’odissea diplomatica iniziata con il referendum del giugno 2016 e trascinatasi da allora su una girandola continua di colpi di scena, strappi governativi e fratture interne al governo. Da Bruxelles traspare soprattutto rassegnazione. I parlamentari britannici, ha ricordato a caldo un portavoce del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dovranno «fornire una giustificazione credibile» per un rinvio. La Ue, prosegue, «ha fatto tutto il possibile» per favorire il via libera della Camera dei comuni. Ora la questione, come ha già ricordato il capo-negoziatore per la Ue Michel Barnier, si gioca per intero a Londra.

May: va bene il rinvio, ma parlamentari indichino la strada
Da qui l’appello di May, visibilmente provata dopo una stroncatura della sua mozione che non raggiunge la batosta di gennaio (quando l’accordo venne bocciato con un margine di 230 voti) ma si fa più insidiosa sui tempi: mancano 17 giorni al 29 marzo e i termini di divorzio sono tutti da definire. La premier ha aperto ufficialmente al rinvio, ma chiede ai deputati di «indicare la strada» che ritengono più opportuna: un accordo rivisto, un nuovo accordo o un referendum. In effetti, lo stesso fronte del no fatica a compattarsi su una linea comune. Il leader dei laburisti Jeremy Corbyn spinge per un suo vecchio obiettivo, le elezioni anticipate. La fronda interna alla maggioranza di governo della stessa May si divide tra chi spera ancora in un’uscita «ordinata» il 29 marzo e chi spinge per il rinvio.

L’unico dato di fatto è che il voto riapre, formalmente, tutte le ipotesi sul tavolo. May ha raggiunto il suo accordo con la Ue lo scorso 25 novembre, salvo subire una doppia bocciatura alla Camera dei Comuni. Ai sensi dell’accordo per il ritiro del Rego Unito dalla Ue, Londra non può ratificare la separazione dall’Europa senza il via libera formale del suo parlamento. Nel caso che l’esito del voto del 13 o del 14 marzo andasse in maniera diversa, si aprono vari scenari. Il più inquietante è quello di una Brexit no-deal, senza tutele diplomatiche, per ora avversato sia dai parlamentari britannici che dagli ex partner europei. Ma fra le varie combinazioni potrebbe esserci anche quella di un nuovo referendum o di un ritorno alle urne per le elezioni nazionali. La poltrona di Theresa May, ora,è ancora più in bilico.

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