NEW YORK – Dopo la sonora sconfitta alle elezioni di mid term per un posto al Senato con il rivale repubblicano texano Ted Cruz per tre piccoli punti percentuali, al termine di una delle più lunghe campagne elettorali, girando per tutte le contee del Texas con un fundraising da record (80 milioni di dollari raccolti solo attraverso piccole donazioni) l’ex deputato Robert Francis O'Rourke, per tutti Beto – equivalente spagnolo del diminutivo Bob - ha girato gli Stati Uniti, le aree rurali e le città, in un viaggio di conoscenza e di “espiazione”. Ha ascoltato migliaia di persone, si è fatto crescere la barba da hypster e non ha perso l’entusiasmo dei suoi giovani anni.
Figlio di quella generazione X cresciuta a Star Wars, skateboard e punk rock, sugli scaffali le bio di Bob Dylan e i dischi dei Clash, Beto O'Rourke, 46 anni, alla fine ha deciso di gettarsi nella corsa delle corse, per conquistare la nomination democratica alle prossime elezioni presidenziali del novembre 2020. Di origini irlandesi, un passato da bassista e batterista in una band punk rock, con il sogno di diventare una star, e un presente da piccolo imprenditore in una società di software e di servizi internet, O'Rourke viene da El Paso, la città texana al confine con il Messico finita prepotentemente alla ribalta negli ultimi mesi dopo il viaggio di Donald Trump per perorare il suo muro al confine con il Messico.
Beto quel giorno, alla visita del presidente e del suo enorme apparato mediatico che organizzò una manifestazione al grido di: “Costruiremo il muro”, contrappose una contro-manifestazione popolare, la Marcia della Verità, partita dal basso e condivisa dal web, che oscurò per l’enorme partecipazione l’evento repubblicano.
Con poca modestia quando gli chiedono se non ha timore di candidarsi da sconfitto, lui si paragona ad Abramo Lincoln, padre della patria che, come lui, perse un seggio al Senato prima di vincere le elezioni e diventare uno dei più grandi presidenti della storia degli Stati Uniti. Il messaggio che contrappone a Trump è quello dell’ottimismo, della positività, di un'America glocal, globale e locale come lui, che non ha bisogno di muri, ma che, come raccontava suo padre, è cresciuta in un posto di confine come El Paso «dove da bambino quando giocavi per strada non ti chiedevi se l’amico con cui saltavi con lo skate fosse cittadino messicano o americano: era solo il tuo amico». Beto suoi social “spacca”, e contrappone ai tweet di Trump un populismo democratico.
Nel video con cui annuncia la sua candidatura, dal salotto di casa, la moglie Amy seduta accanto sul divano, che lo guarda sorridendo con gli occhi sgranati, dice che si batterà per la lotta ai cambiamenti climatici, problema negato da Trump e dai suoi. Gli altri punti del suo programma politico sono un sistema di assistenza sanitaria universale, gratuito e per tutti, la riforma dell'immigrazione («Non abbiamo bisogno del muro», continua a ripetere), una legge che limiti il possesso delle armi e, in definitiva, una visione dell’America, Paese delle opportunità, con una «democrazia da riparare» e un governo che sia «un governo di tutti e non solo delle corporation».
Trump di lui ha già detto: «C'è un giovane ragazzo che è stato sconfitto dal mio amico Ted Cruz e vuole sfidarmi alle presidenziali. Ha un bel nome che si ricorda subito».
Beto il 30 marzo nella sua El Paso in una grande manifestazione già annunciata e nella quale ha invitato i suoi sostenitori dal salotto di casa, darà l’avvio alla sua campagna che lo porterà a girare in lungo e in largo gli Stati Uniti, in 12 Stati e 99 contee, nel tentativo di conquistare più Stati possibili nelle primarie. Dalla sua, il giovane candidato ha il fatto che è bianco, è giovane ed è una figura che potrebbe funzionare per il partito democratico con un endorsement già arrivato da Barack Obama prima ancora della candidatura, quando lo incontrò nel novembre scorso: «An impressive young man». Poi Beto ha il vantaggio di avere posizioni meno radicali di altri, capace di entusiasmare e di muovere le folle, ed è molto social, con tutta la vita mostrata ai suoi sostenitori in ogni istante dal video di un telefonino, come si usa ora. Contro ha una serie di pezzi da novanta del partito, alcuni già entrati nella corsa, altri in arrivo. Primo tra tutti il “vecchio” Bernie Sanders, che qualche settimana a Brooklyn un popolo sterminato di millennials non spaventati dal freddo né dalla neve ha aspettato per ore per essere presente al debutto della sua seconda corsa per la Casa Bianca con uno slogan che dice tutto: “Not me. Us”.
E poi Elizabeth Warren la professoressa che vuol tassare la finanza e i candidati centristi come Kamala Harris, Amy Klobuchar e Cory Booker. Fino all'ultimo candidato eccellente, l'ex vice presidente di Obama, Joe Biden, che qualche giorno fa davanti a un gruppo di vigili del fuoco, in attesa di rompere gli indugi, è stato salutato da striscioni diventati virali: “Run Joe, run”. Come a dire: buttati nella mischia Joe, noi ti seguiamo.
Beto non ha paura. Lo sguardo fiero, il sorriso stampato: «La prossima sarà la madre di tutte le campagne per la nostra democrazia. Un momento decisivo per la verità, per questo Paese e per ognuno di noi». Vanity Fair, nel giorno in cui lui ha annunciato la candidatura per la nomination democratica, gli ha dedicato la copertina e un lunghissimo ritratto. Il momento esatto in cui Beto ha deciso di candidarsi, racconta il magazine, è quando risponde a qualcuno con un “sì” dal telefonino mentre cammina per le strade di El Paso con due dei suoi tre figli. Uno dei due, Ulisses, gli dice: «Papà se ti candidi piangerò». Lui: «Il primo giorno?». «No, tutti i giorni». L'altro figlio Henry gli dà la linea: «Papà, sono contento se ti candidi solo se vinci».
In questo modo, da una sconfitta, una sonora sconfitta, è partita la lunga corsa di Robert Francis O' Rourke, detto Beto, per conquistare la presidenza degli Stati Uniti. Da un palco all'altro. Dal punk rock alla Casa Bianca.
© Riproduzione riservata