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il ritratto

Jacob Rees-Mogg, chi è il leader euroscettico ago della bilancia nella Brexit

LONDRA - Qualunque cosa succeda, Brexit ha fatto bene a Jacob Rees-Mogg. Ora leader incontestato degli oltranzisti euroscettici, il 48enne deputato conservatore era sconosciuto ai più prima del referendum sull’Unione Europea del 2016.

Eletto deputato solo nel 2010, dopo un paio di tentativi falliti, non è mai stato ministro o sottosegretario e non ha mai avuto alcun incarico pubblico. Seduto nelle file in fondo in Parlamento, era noto ai colleghi per il suo aspetto di gentiluomo d’altri tempi, il suo conservatorismo reazionario e il suo patriottismo. Essere nato inglese, secondo lui, «è avere vinto il primo premio nella lotteria della vita».

Con il suo abbigliamento eccessivamente elegante e ostentatamente British, i suoi occhialini tondi, il suo accento snob, il suo modo di parlare forbito e farcito di citazioni latine, sembra una caricatura dell’aristocratico inglese di altri tempi. I suoi colleghi a Westminster invece di chiamarlo «il deputato per North East Somerset», la sua circoscrizione elettorale, lo chiamano «il deputato per il 18esimo secolo».

Sarebbe un errore però pensare che Rees-Mogg si sia costruito un personaggio eccentrico per inseguire una facile celebrità. Lui è davvero così. Figlio di William Rees-Mogg, ex direttore del Times, è cresciuto nell’ovatta del privilegio e ha studiato nelle scuole private più prestigiose, Westminster e poi Eton, prima di andare all'Università di Oxford dove è diventato presidente dei giovani Conservatori.

Jacob era assurto agli onori della cronaca a 12 anni, quando si era presentato all'assemblea degli azionisti del colosso industriale General Electric e aveva preso la parola per lamentarsi per il “patetico” dividendo. Il padre faceva parte del Cda di Gec. Una foto su un giornale dell’epoca mostra Jacob incravattato che legge il Financial Times con accanto il suo orsetto di peluche.

È questo il suo problema, sostiene un collega di partito: il suo aspetto, la sua voce, il suo abbigliamento e – cosa ben più cruciale – le sue idee non sono cambiate affatto da quando aveva dodici anni. Le sue buone maniere non lo abbandonano mai ed è scrupolosamente cortese anche con chi lo insulta. Nessuno lo ha mai visto perdere la sua flemma britannica e alzare la voce.
Dichiara le sue opinioni con un tono pacato, ma sono opinioni altamente controverse. Nega che il cambiamento climatico sia una realtà. Ritiene che lo stato sociale sia troppo generoso e che i meno abbienti, invece di ricevere sussidi, dovrebbero affidarsi alla beneficenza altrui. È contrario all'immigrazione e al “buonismo” verso rifugiati e profughi. Ritiene eccessiva l'attenzione dedicata al tema dei diritti umani e dei lavoratori. Si è opposto ai tentativi del partito conservatore di attrarre più candidati di colore o provenienti da minoranze etniche, dichiarando che «l'Inghilterra è al 95% bianca». Naturalmente adora la caccia alla volpe. E così via.

Cattolico praticante, è sposato con sei figli – a cui ha dato nomi di santi o di papi – e si è schierato contro l’aborto e i matrimoni gay. L'anno scorso è stato vilipeso per avere detto di essere contrario all’aborto anche in caso di violenza carnale o incesto. «Non si può riparare a un'ingiustizia commettendone un'altra -, ha dichiarato -. Io prendo le mie direttive dalla Chiesa di Roma». Dichiarazioni azzardate per un politico in carriera, che dimostrano che Rees-Mogg è un uomo di profonde convinzioni, non un opportunista, anche se Brexit è stata la sua grande opportunità.

Da sempre euroscettico e convinto che la Gran Bretagna possa tornare alle glorie del passato solo liberandosi del giogo di Bruxelles, Rees-Mogg è diventato in poco tempo il condottiero dei Brexiter. Le sue posizioni inflessibili, le sue certezze incrollabili, le sue dichiarazioni nette gli hanno conquistato un seguito tra i sostenitori dell’uscita dalla Ue e sono apparse encomiabili in contrasto con le incertezze croniche dell’ondivaga Theresa May.

È stato eletto leader dell'European Research Group (Erg), una cabala di euroscettici duri e puri che conta tra i 40 e i 60 deputati e che con Brexit si è rafforzata diventando un vero e proprio partito all'interno del partito conservatore. L'Erg vuole tagliare i ponti con la Ue, uscendo dal mercato unico e dall'unione doganale e ritiene che la soluzione migliore sia optare per un “no deal”, un'uscita senza accordo.

È stato Rees-Mogg a bocciare l'accordo concordato dalla premier con la Ue, dichiarando che avrebbe reso la Gran Bretagna “vassallo” della Ue ad oltranza. È stato lui a orchestrare il voto di fiducia contro la May, senza successo. Sta a lui ora decidere se salvare l’accordo in extremis accettando di votarlo, pur turandosi il naso, o se respingerlo per la terza volta affossando definitivamente le speranze della premier.

Ora che sembra che la May abbia i giorni contati come leader del partito, il nome di Rees-Mogg compare nella lista dei possibili candidati alla successione. Difficile immaginare che una persona così ostentatamente elitaria e dalle idee così controverse possa diventare leader dei Tories nel 21esimo secolo, ma sicuramente ha un seguito nel partito. Lui ha escluso più volte di essere interessato a diventare premier. Pochi gli credono. Quando era ragazzino aveva dichiarato di voler essere «milionario a 20 anni, multimilionario a 40 e primo ministro a 70». Per ora ha centrato due obiettivi su tre.

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