Mondo

Il Venezuela scende in piazza, ma Mosca aiuta Maduro con i soldati

  • Abbonati
  • Accedi
Servizio |un paese allo stremo

Il Venezuela scende in piazza, ma Mosca aiuta Maduro con i soldati

NEW YORK - Alla Casa Bianca in molti scommettono che Nicolas Maduro abbia i giorni contati. Le sanzioni americane decise a fine gennaio hanno accelerato la crisi. Ma la Russia ha inviato 100 agenti delle forze speciali ed esperti di cybersicurezza a sostegno di Maduro. John Bolton, il consigliere della sicurezza nazionale di Trump, ha condannato la decisione del Cremlino che è vista come una minaccia alla stabilità dell'area e «un'intrusione negli affari dei Paesi dell'emisfero occidentale» da parte di Mosca.

«Consideriamo l'invio di militari russi una provocazione e una minaccia alla pace internazionale e alla sicurezza dell'area», ha scritto in una nota Bolton.
Sul Venezuela la tensione tra Washington e Mosca è alle stelle. Non è servito a molto l’incontro avvenuto nei giorni scorsi a Roma, con la mediazione vaticana, che gli Stati Uniti non vogliono, tra il Rappresentante speciale Usa per il Venezuela Elliott Abrams e il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov.

La crisi venezuelana non si risolverà pacificamente senza un accordo tra Russia, Stati Uniti e Cina, dicono in molti. C'è il rischio di un'escalation della violenza. Per evitarla si parla di una possibile telefonata di Trump a Putin e Xi Jinping. Ma l’agenzia russa Tass ha smentito la notizia: non è arrivata nessuna richiesta da parte americana. Per ora si tratta solo di ipotesi.

Juan Guaidó, leader dell'opposizione autoproclamatosi presidente ad interim, ha arringato i suoi militanti, scesi numerosi in piazza a Caracas e in vari Stati venezuelani, per protestare contro i blackout elettrici che hanno privato la gente anche di acqua, gas e assistenza sanitaria negli ultimi giorni per oltre 100 ore.

La protesta, a tratti drammatizzata dalle forze di polizia che hanno usato gas lacrimogeni, è avvenuta all'indomani dell'annuncio, da parte della Croce rossa, dell'avvio fra 3 settimane di una operazione di aiuti umanitari a favore di 650.000 persone. Nicolas Maduro per settimane ha impedito l'invio di aiuti umanitari «delle forze controrivoluzionarie». Per evitare l'arrivo degli aiuti, l’autostrada che collega Colombia a Venezuela è stata bloccata dai container fatti posizionare trasversalmente dal dittatore venezuelano al centro della carreggiata. «Questa è una vittoria della nostra gente - ha detto Guaidó - il processo per estromettere dal potere in Venezuela l'”usurpatore” Maduro “è entrato nella sua fase finale» e culminerà il 6 aprile quando si realizzerà l'Operazione Libertad, mobilitazione nazionale che potrebbe giungere al Palazzo presidenziale di Miraflores.

Dall’altra parte i militanti chavisti hanno risposto con una contro manifestazione verso le forze “controrivoluzionarie” che minacciano il Venezuela, rispondendo all'appello del loro leader per una “Operazione popolare a difesa della libertà”.

Parlando ai militanti chavisti, nel quartiere di Catia di Caracas, il vicepresidente del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), Diosdado Cabello, ha dichiarato che «il Paese ha dimostrato di essere preparato a difendersi da ogni
aggressione, perché le forze rivoluzionarie si sono dispiegate su tutto il territorio nazionale».

Mostrandosi sicuro e sfidando il governo che giovedì lo ha sanzionato con una inibizione dagli incarichi pubblici per 15 anni, Guaidó ha rilanciato il guanto di sfida al potere costituito, considerato “illegittimo”. «Oggi - ha detto a Los Teques alle porte della capitale – stiamo protestando e organizzandoci in più di 100 punti per la 'Operazione Libertad'. Maduro sa che ha perso. Questo è un regime che vuole che il nostro cuore si riempia di oscurità e paura». E poi, a sorpresa, ha lasciato intendere di poter alzare il livello dello scontro: «Potremmo far ricorso all'articolo 187 della Costituzione» che contempla l'invito di missioni militari straniere in Venezuela.

Gli americani e i brasiliani a sostegno di Guaido e i russi, già arrivati a Caracas, per proteggere Maduro. «Quando parliamo di invasione si deve pensare a cubani e russi», ha spiegato Guiaidò, aggiungendo che noi invece «siamo favorevoli alla cooperazione con i nostri partner internazionali. E quindi è chiaro che quando ci sarà l'occasione faremo ricorso all'articolo 187», ha assicurato, senza fornire indicazioni sui Paesi - Usa, Colombia o Brasile - a cui si chiederebbe l’intervento.

Il Venezuela è allo stremo dopo quasi sei anni di regime di Maduro. La gente è affamata. Il debito pubblico è alle stelle, con il rischio di default che torna ogni tanto ad affacciarsi. Corruzione e malgoverno sono la regola.
Il paradosso di questa situazione tragica è che il Paese latino americano ha le maggiori riserve mondiali di petrolio. Ma tale è la devastazione di questi anni che non si riesce più a garantire neanche la normale distribuzione di energia elettrica ai venezuelani. Da lunedì gli episodi di blackout si sono ripetuti in varie città del Paese per oltre 100 ore. Maduro appare sempre più isolato e chiuso nel suo castello.

Nelle scorse settimane il dittatore venezuelano avrebbe cercato di trasferire capitali in conti esteri intestati a suoi familiari, una mossa che sa di disperazione e di un regime al capolinea.
Il deputato dell’opposizione Angel Alvarado ha denunciato che Maduro avrebbe rubato otto tonnellate di oro dalle riserve della banca centrale, per un valore di 340 milioni di dollari. L'oro trafugato dai forzieri della banca centrale sarebbe stato caricato su un aereo russo.

Non è la prima volta. Si è parlato di un altro episodio di lingotti rubati dal regime Maduro a fine gennaio. Nell'agosto del 2018 Matthias Krull, un banchiere svizzero di 44 anni, di base a Panama, è stato condannato da un giudice di Miami per un caso di riciclaggio di denaro, perché avrebbe aiutato delle persone vicine a Maduro a ripulire e riciclare nei paradisi fiscali 1,2 miliardi di dollari di fondi sottratti alla società petrolifera statale Pdvsa.

Sono ormai cinquanta i Paesi, con gli Stati Uniti per primi, che sostengono la presidenza ad intermin di Juan Guaido: quasi tutti i Paesi dell'America Latina e del Centro America, il Canada, l’Australia, l'Unione europea e la maggior parte dei Paesi Ue, Gran Bretagna compresa. Altre nazioni come Italia, Irlanda e Slovenia non riconoscono Guaidó presidente ma chiedono nuove elezioni.

Gli unici Paesi che sostengono Maduro sono la Russia (che ha pure inviato i suoi militari), la Bielorussia, che ha una partnership economica e politica con Caracas, Iran, Turchia, Grecia, Siria, Bolivia, Nicaragua e Cuba.

Maduro cerca di portare via più che può per sé e per i suoi perché sa che non durerà ancora a lungo. Ha affamato un Paese tra i più ricchi prima di lui dell'America latina: il più grande problema a cui devono fare fronte in venezuelani nella vita quotidiana è l'iperinflazione. Il costo della vita in Venezuela negli ultimi dodici mesi è aumentato del 1.300.000%, secondo i dati dell’Assemblea nazionale. In media ogni 19 giorni i prezzi raddoppiavano. Il numero di bolivar per avere un dollaro è schizzato, tanto che molti venezuelani non hanno i soldi sufficienti nemmeno per comprare la carta igienica, oltreché il cibo con i prezzi alle stelle: un pezzo di pane costa 90 bolivar, un pomodoro 200 bolivar, un uovo 250 bolivar.

Più di tre milioni di venezuelani hanno lasciato il Paese in questi anni per scappare dalla fame, dall’assenza di medicinali, dall’aumento della criminalità e dalla disoccupazione endemica. I profughi venezuelani sono finiti in Colombia (1 milione), 108mila in Cile, 130mila in Argentina, 506mila in Perù, 86mila in Brasile, 208mila in Spagna, 221mila in Ecuador, 94mila a Panama e 290mila negli Stati Uniti, secondo i dati dell'Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite.

Profughi che cercano lavoro nei Paesi ospitanti e che hanno creato non pochi problemi di convivenza con i locali. Una concorrenza sleale, come è capitato in Argentina, con manodopera che pur di lavorare si offriva a bassissimo costo, togliendo il lavoro alla manovalanza argentina.

I venezuelani rimasti soffrono la fame. I cani vengono lasciati morire per le strade perché non c'è da mangiare per le persone. Stanno un po' meglio quelli che vivono nelle campagne, aiutati dalla produzione agricola. Otto venezuelani su dieci, secondo un sondaggio Encovi, hanno detto che mangiano meno perché non hanno abbastanza cibo nelle loro case. Sei su dieci addirittura hanno dichiarato di aver preso l’abitudine di andare a letto senza cena perché non hanno abbastanza soldi per acquistare cibo.

© Riproduzione riservata