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Libia, Haftar assedia Tripoli. Il petrolio dietro gli scontri con Serraj

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ITALIA E USA: INTERVENGA L’ONU

Libia, Haftar assedia Tripoli. Il petrolio dietro gli scontri con Serraj

Bloccare la produzione petrolifera e gettare sul lastrico la Libia intera, oppure permettere che il suo nemico, il Governo di Tripoli, si arricchisca alle spalle della Cirenaica, lasciandole molto meno di quanto avrebbe bisogno? Il dilemma che tiene prigioniero il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, getta luce su quanto sta avvenendo in questo Paese dove due Governi rivali, uno a Tobruk, e l’altro in Tripolitania (il solo riconosciuto dalla Comunità internazionale), si contendono la sola ricchezza nazionale: il greggio.

Mai come in questi giorni si sta arrivando vicini ad una guerra aperta. La cronaca degli eventi parla di «duri scontri» scoppiati a Sog Al-Khmies Emsihel, a sud di Tripoli, dove sono arrivate le forze di Haftar. E sarebbero 14 i morti nelle fila dell'Esercito nazionale libico dall'inizio dell’attacco lanciato i 4 aprile fa su Tripoli dal generale Khalifa Haftar. Lo ha riferito il portavoce del Lna, Ahmed al-Mismari, in una conferenza stampa tenuta a Bengasi e trasmessa dalla tv di stato
egiziana di sole notizie Nile News.

Le milizie fedeli Fayez al-Serraj, premier del Governo di accordo nazionale di Tripoli, avrebbero effettuato bombardamenti aerei (notizia però da confermare). Poco dopo i militari di Haftar avrebbero ingaggiato scontri nei pressi dell’aeroporto internazionale, conquistando alcune località a circa 30 km dal centro. Oggi, 6 aprile, il ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale, Fathi Bashagha, ha annunciato il «controllo sulla totalità dell’aeroporto di Tripoli» da parte delle forze dell'esecutivo del premier Fayez al Sarraj, poi smentito dalle forze di Haftar. «Le vie di Tripoli si preparano ad accogliere l'esercito libico ha affermato il portavoce dell'esercito libico Ahmed El Mismari all'emittente pubblica Nile news, affermando che «unità speciali saranno incaricate di garantire la sicurezza delle imprese straniere e locali, delle sedi diplomatiche e delle istituzioni economiche straniere» presenti nella capitale.

Di fronte a scontri ormai a pochi chilometri dal centro di Tripoli, raid aerei e il rischio di una battaglia anche nei cieli, l'Italia - di concerto con gli Stati Uniti - insiste affinchè l’Onu intervenga quale mediatore della crisi libica.

Difficile prevedere quale piega prenderanno gli eventi. Nei suoi quartier generali di Bengasi, Haftar ha incontrato il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che gli ha chiesto di porre fine alle ostilità. La risposta non è stata incoraggiante: «L’operazione verso Tripoli continuerà finché il terrorismo non sarà eliminato». La comunità internazionale, inclusa la Russia, ha chiesto la cessazione delle ostilità.

Ci si chiede tuttavia quali siano i vantaggi di questa offensiva. Se il generale vuole conquistare il consenso dei libici, e conservare al contempo la legittimità, internazionale, un bagno di sangue sortirebbe gli effetti contrari. Rischiando così di bruciare il grande vantaggio ottenuto sugli avversari da questo scaltro militare sostenuto da Emirati Arabi ed Egitto (e in parte da Russia e Francia). Haftar è riuscito a fare quello che i suoi rivali, ma probabilmente anche i suoi sostenitori internazionali, si auguravano non riuscisse mai a fare, o almeno non del tutto; controllare l’industria petrolifera di quasi tutta la Libia. L’ultima offensiva lanciata dalla sua potente milizia, l’Esercito libico nazionale (Lna) , è durata solo sei settimane. In questo arco di temo l’Lna ha preso il controllo non solo delle cittadine strategiche del Fezzan, la grande regione desertica centro meridionale, ma anche dei pozzi petroliferi. Il primo giacimento a cadere nelle mani dei suoi militari è stato quello di Sharara, il più grande di tutta la Libia, gestito dalla Noc in collaborazione con la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor. Poi è stata la volta di quello di el-Feel, dove opera la major italiana Eni. I due giacimenti producono rispettivamente 315mila e 80mila barili al giorno, quasi la metà dell’attuale produzione nazionale. «La situazione nei campi petroliferi è sotto controllo e stiamo monitorando l'evolversi della vicenda con molta attenzione» affermano fonti dell'Eni interpellate sull'annuncio del generale Khalifa Haftar di voler marciare su Tripoli dove - viene precisato - l’ «Eni attualmente non ha personale presente».

Ma non basta. A questo volume va aggiunto l’intero bacino della Sirte, e dei suoi due grandi terminali (Ras Lanuf e El-Sider) controllato dal Governo della Cirenaica. La cui capacità produttiva rappresenta i due terzi di quella nazionale. Nel territorio controllato dal Governo di Tripoli restano assets petroliferi – come i giacimenti offshore di Bouri e di al-Jurf - capaci di produrre poco più 100mila barili al giorno. Oltre al giacimento di gas naturale di Wafa. In un Paese che vive di greggio controllare i giacimenti è fondamentale. Anche perché, rispetto agli anni più difficili (2014-2016), la produzione è tornata a risalire. E così anche le rendite. L’anno scorso sono balzate a 26 miliardi di dollari (nell’anno peggiore furono 5 miliardi).

Il Governo di Tobruk, e quindi Haftar, ha tuttavia un grosso problema. Controlla i giacimenti di greggio, ma non controlla le rendite petrolifere. Riconoscendo come legittimo solo il Governo di Tripoli, la Comunità internazionale esige che le esportazioni debbano avvenire tramite la compagnia petrolifera nazionale, la Noc, presente a Tripoli. Tobruk, che accusa Tripoli di corruzione nella gestione del petrolio, ha così provato a creare una Noc parallela in Cirenaica per vendere il greggio per proprio contro. Ma ogni volta che ci ha provato, le petroliere sono state intercettate e sequestrate da navi militari straniere.

Haftar in principio ha chiesto a Tripoli, senza successo, che almeno il 40% delle rendite energetiche nazionali siano assegnate alla Cirenaica. Ha provato a muoversi autonomamente ma si è reso conto che non riesce a vendere greggio all’estero per finanziarsi. E che è dunque più ragionevole permettere che i giacimenti nei territori da lui controllati continuino a essere gestiti dalla Noc di Tripoli. Così facendo si presenta come un uomo che ha a cuore gli interessi dei libici.

Non è dunque una coincidenza se in grandi momenti di tensione la produzione petrolifera dell’italiana Eni, primo operatore straniero in Libia, ha spesso continuato a funzionare a pieno regime. Anche in questi giorni la sua produzione è di circa 280mila barili al giorno di petrolio equivalente, vicino alla sua capacità massima.

Haftar si limita per ora a controllare i giacimenti. Ma cosa significa? Nella gran parte dei casi è accaduto che i suoi militari abbiamo scacciato le milizie locali che garantivano la sicurezza dei giacimenti del Fezzan con uomini più fedeli. Altre volte lasciando gli schieramenti e i blindati a pochi chilometri, pronti ad intervenire. Haftar ha compreso che la Noc di Tripoli è un interlocutore inevitabile. Al contempo sa di avere in mano uno straordinario strumento di pressione: buona parte del petrolio è infatti nelle sue mani. In casi estremi, gli ci vorrebbe poco per chiudere i rubinetti. E mettere in ginocchio tutta la Libia.

Intanto, l’inviato speciale dell'Onu per la Libia, Ghassan Salamé, parlando a Tripoli ha confermato che in assenza di impedimenti insormontabili la Conferenza nazionale indetta per il 14-16 aprile a Ghadames si svolgerà come previsto, anche se il suo svolgimento è un obbiettivo difficile mentre avvengono scontri a Tripoli. Lo riferisce la pagina Fabebook del Dipartimento comunicazione del Consiglio dei ministri libico.

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