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Brexit insegna: alle imprese globali serve un country manager

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L'Analisi |IESE BUSINESS SCHOOL

Brexit insegna: alle imprese globali serve un country manager

Alla presentazione del nuovo modello ibrido ad Amsterdam, all’inizio di aprile, il presidente di Ford Europe, Steven Armstrong ha detto che per l’industrioa dell’auto una hard Brexit avrebbe effetti disastrosi
Alla presentazione del nuovo modello ibrido ad Amsterdam, all’inizio di aprile, il presidente di Ford Europe, Steven Armstrong ha detto che per l’industrioa dell’auto una hard Brexit avrebbe effetti disastrosi

Dal punto di vista geopolitico, viviamo in tempi turbolenti. Guardando la moltitudine di crisi e punti caldi in giro per il mondo e in Europa, è evidente che una situazione geopolitica complessiva così instabile non si vedeva dalla fine della Seconda guerra mondiale. Eppure, gli uomini e le donne che gestiscono tante grandi e medie imprese nel mondo sembrano cadere dalle nuvole di fronte al caos della Brexit, alla vittoria elettorale di Jair Bolsonaro in Brasile e all’avanzata dell’estrema destra europea, solo per citare qualche evento.

A mio avviso, le grandi multinazionali sono sempre più vulnerabili e impreparate di fronte agli shock geopolitici. Le aziende hanno complesse catene logistiche internazionali che presuppongono la libera circolazione nei mari. Molte hanno spostato le funzioni amministrative in luoghi lontani, collegati da reti di telecomunicazioni che in caso di conflitti possono subire interruzioni. Altre hanno addirittura collocato molte delle loro capacità tecnologiche più preziose in località remote, che in caso di guerra potrebbero essere espropriate.
È vero che c’è una vasta comunità di analisti, diplomatici, giornalisti, ufficiali militari e funzionari dei servizi segreti che si occupa a fondo di queste questioni, ma è vero anche che operano per lo più in modo completamente indipendente dalla comunità imprenditoriale internazionale, che in genere si concentra su temi più immediati come la crescita.

La Brexit è l’esempio perfetto. Quando c’è stato il voto sulla Brexit, nel 2016, nessuno, nella comunità imprenditoriale internazionale, si aspettava davvero che vincesse il Leave. Ma per aver sottovalutato la portata di quel referendum oggi le aziende sono alle prese con problemi più grandi. Le imprese con catene logistiche globali integrate non possono permettersi di pensare che tutto rimarrà sempre così com’è.
Di fronte a un evento come la Brexit, bisogna pianificare diverse possibilità. Ovviamente, predisporre piani, prodotti e persone per tutti i possibili scenari richiede tempo e denaro, e una certa resilienza da parte dell’organizzazione. D’altra parte, valutare costantemente la propria capacità di adempiere agli obblighi verso clienti, dipendenti e azionisti rientra nelle funzioni del manager, giusto?

I motivi di questa situazione sono legati soprattutto al modo in cui la maggioranza delle grandi aziende è organizzata: c’è uno scollamento tra la mentalità di molti manager, orientata al breve termine, e la prospettiva a lungo termine necessaria per comprendere le tendenze geopolitiche, e ci sono una serie di problematiche legate alle modalità con cui i manager internazionali vengono reclutati, promossi e retribuiti.
Pensiamo, tanto per fare un esempio concreto, all’emergere, in molte grandi aziende, di strutture a matrice internazionali, che hanno sostituito in gran parte la figura del country manager con alcuni alti dirigenti responsabili di grandi gruppi internazionali, altri che gestiscono diverse aree geografiche e altri ancora che sono responsabili di funzioni aziendali globali come finanza, risorse umane e catena logistica.

I vecchi country manager ricoprivano due ruoli direzionali. Innanzitutto, avevano la responsabilità di rappresentare la loro impresa nel Paese, più o meno come un ambasciatore. In secondo luogo, spiegavano alla loro impresa qual era la situazione del Paese in quel momento. Oggi, in molte aziende, è difficile trovare personale locale con quel grado di intuizione o la capacità di lanciare l’allarme sulla base di flebili avvisaglie di problemi incombenti.

Un altro motivo per cui i leader aziendali non sempre riescono a richiamare l’attenzione su potenziali problemi è che in genere non sono ben addestrati per questo tipo di analisi; e anche se lo fossero, la nostra cultura imprenditoriale, basata sul successo, non premia comportamenti di questo tipo. Nella maggior parte delle aziende, le persone sono ricompensate quando realizzano qualcosa, non quando invitano alla prudenza di fronte a problemi ancora in nuce.

La buona notizia è che è possibile migliorare la resilienza delle grandi multinazionali nel mondo turbolento di oggi. Fra le misure concrete ci sono il coinvolgimento del consiglio di amministrazione negli esercizi di pianificazione degli scenari, la creazione di ridondanze e margini di manovra nelle catene logistiche globali e il ripensamento di alcuni aspetti della politica delle risorse umane come il reclutamento e la formazione.
L’importante è riconoscere che la turbolenza è la nuova normalità e che è improbabile che nell’immediato futuro possa emergere un ordine mondiale stabile e prevedibile. Per le aziende che competono per accaparrarsi una fetta del mercato mondiale, non riflettere a fondo su questi problemi è semplicemente inadeguato; e potrebbe anche essere interpretato come una negligenza.

Assistant professor di Strategic Management alla IESE Business School
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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