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Fbi europea, 10mila agenti sulle coste e tassa su Google: il manifesto…

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Fbi europea, 10mila agenti sulle coste e tassa su Google: il manifesto dei Popolari di Weber

Almeno 10mila uomini in più sulla frontiera entro il 2022, una «Fbi europea» per intensificare la vigilanza sul terrorismo e una tassazione sul digitale per i colossi tech. Ma anche divieti alla plastica monouso, cinque milioni di posti di lavoro e sforbiciata agli eccessi burocratici. Sono alcuni fra i 12 punti programmatici che Manfred Weber, lo spitzenkandidat del Partito popolare europeo al voto di maggio, annuncerà il 23 aprile ad Atene (Grecia) per il lancio ufficiale della sua candidatura. Il programma è contenuto in un manifesto che il Sole 24 Ore ha potuto visionare.

Scaduta l’attività dell’Europarlamento, la campagna elettorale per il rinnovo dell’Eurocamera inizia a entrare nel vivo. Weber conferma le linee guida emerse nel vertice dei Ppe che si era svolto a febbraio sempre ad Atene, meta scelta per l’ulteriore voto alle nazionali greche nel novembre 2019. Ma ora il piano d’azione si fa più preciso e calca la mano su tre argomenti-chiave per la sua corsa alla poltrona numero uno della Commissione europea: una Ue «forte», «smart» e «gentile». Vale a dire, rispettivamente, un’accelerazione su sicurezza, tecnologia e diritti sociali e ambientali.

I 12 punti del suo manifesto per le Europee
Sul primo fronte, il manifesto spinge per il rinforzamento della Guardia costiera europea con 10mila agenti entro il 2022 (e non il 2027, come convenuto dai leader europei), la creazione di una «Fbi europea» con il raddoppio del personale Europol e una maggiore condivisione di dati sensibili, lo stop ai negoziati per l’ingresso della Turchia nella Ue e un nuovo meccanismo per lo Stato di diritto, con l’istituzione di un «organismo indipendente e trasparente» che valuti su casi specifici.

Sul fronte dello sviluppo «smart» degli apparati Ue, Weber lancia la proposta di un piano generale per la ricerca sul cancro, l’integrazione tecnologica delle abitazioni degli anziani per garantire un maggior grado di indipendenza, la creazione di cinque milioni di posti di lavoro grazie a investimenti massicci su alcuni settori chiave (commercio, infrastrutture, innovazione, economia sociale) e smaltimento dei costi burocratici, con il taglio di funzionari in eccesso e «almeno 1000 regolamenti» superflui.

Il terzo e ultimo blocco tematico è quello di un’Europa «più gentile», espressione che Weber sembra usare come sinonimo di sostenbile. Il primo punto in agenda è una tassa di equità sul digitale, per attutire gli impatti di fenomeni come l’intelligenza artificiale ed evitare «i Google e i Facebook» si avvantaggino unilateralmente dell’economia europea. Il resto del pacchetto prevede prestiti sulla casa per le giovani famiglie garantiti dalla Banca europea degli investimenti, un divieto globale sul lavoro minorile e la ricerca di un trattato globale per proibire la plastica monouso.

Chi è Manfred Weber
Lo slogan scelto per la campagna è «The power of WE», il potere di noi, giocando sull’assonanza con le iniziali del suo cognome. Weber, ingegnere bavarese di 47 anni, è il vicepresidente nel suo stato della Unione cristiano sociale (Csu), gemello più a destra della Unione Cristiano-Democratica, il partito guidato fino a pochi mesi fa dalla cancelliera Angela Merkel.

Weber, sbarcato all’Europarlamento nel 2004, ha ricoperto il ruolo di capogruppo del Ppe prima di essere indicato come candidato di punta per la carica di presidente della Commissione. La sua corsa arriva in un momento di instabilità per i Popolari, proiettati dalle stime dell’Eurocamera a una perdita di quasi 40 seggi rispetto al voto del 2014. L’obiettivo, dichiarato, è di proporsi come alternativa istituzionale sia alle forze nazionaliste che corteggiano l’elettorato del Ppe sia alle sigle di sinistra radicale, da sempre incompatibili con la più grossa famiglia del centrodestra su scala Ue.

Weber gode dell’endorsement della stessa Merkel, a lungo chiacchierata come vera candidata del Ppe alla carica numero uno della Commissione. I mesi che hanno preceduto la sua discesa in campo sono stati agitati da diversi casi interni al Ppe, a cominciare dal caso Orban: il primo ministro dell’Ungheria e membro, con il suo partito Fidesz, del gruppo dei Popolari. Orban ha rischiato l’espulsione dal suo gruppo per le sue violazioni dello stato di diritto e le bordate dirette all’Europa, inclusa una campagna contro le «fake news di Bruxelles» rivolta contro il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e pagata con soldi pubblici.

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