Troppi errori, e un po’ di sfortuna. La presidenza di Emmanuel Macron compie due anni - è in carica dal 14 maggio 2017 - ma
il bilancio, a giudicare dalle cronache, non è davvero positivo. Anche chi ne apprezza le qualità e ne condivide l’approccio
- decisamente europeo anche se, inevitabilmente, in “stile francese” - deve ammettere che non tutto è andato nel verso giusto.
Gradimento ancora in calo
Pur mettendo da parte le mille polemiche del passato, culminate nel caso Benalla (il suo addetto alla sicurezza colto a picchiare
i manifestanti e poi “coperto” dalla presidenza), oggi la Germania prende le distanze dalle proposte europee dell’Eliseo,
i Gilets Jaunes continuano a manifestare nelle piazze, e i sondaggi sul gradimento del presidente restano fermi - gli ultimissimi,
anzi, sembrano puntare di nuovo in basso - malgrado un Grand Débat National che ha visto Macron in viaggio per tutto il paese, e che ha suggerito riforme in grado di aumentare il potere d’acquisto
dei francesi.
Il disagio all’Ovest
Il vero nodo - se non altro come sintomo - sono proprio i Gilets Jaunes, che non demordono, anche se il movimento continua
a indebolirsi. È giusto mettere in prospettiva i numeri delle manifestazioni - relativamente bassi, in realtà, a parte forse
i primissimi appuntamenti - la fondatezza delle proteste sul piano economico, la validità delle proposte, ormai quasi limitate al solo Référendum d’initiative citoyenne, ma il disagio di fondo è reale e chiede risposte non facili. Macron, su questo fronte si è impegnato davvero, anche perché
i Gilets sono forti nell’Ovest, dove il presidente ha registrato - a parte le grandi città - i suoi maggiori successi elettorali.
Non è però riuscito nel suo intento. Non ancora, almeno.
Occupati in aumento
Non si può dire, però, che nel suo complesso la Francia in questi due anni abbia fatto male. Il presidente rivendica, per esempio, un deciso aumento degli occupati, confermato dai dati: in un mercato del lavoro un po’ rigido, caratterizzato da una forte disoccupazione strutturale - forse perché i salari minimi sono troppo elevati e le regole che governano le agenzie del lavoro troppo generose rispetto alle potenzialità dell’economia - durante il biennio la creazione di posti ha accelerato rispetto alla stasi precedente. Non sono forse i 500mila posti vantati da Macron, ma il ritmo è diventato più rapido.
Investimenti in crescita
La misura economica varata dal presidente e considerata più odiosa dai francesi è stata sicuramente l’abolizione dell’Impôt sur la fortune, una patrimoniale ad ampio spettro che è stata sostituita da un’imposta sulla ricchezza immobiliare. Macron continua a spiegare che il provvedimento aveva lo scopo di incentivare gli investimenti. È sicuramente presto per fare un bilancio - lo stesso presidente vuole aspettare il 2020 - ma gli acquisti di beni capitali, in termini reali, hanno proseguito anche con Macron la corsa iniziata nel 2015, in ritardo di tre anni rispetto alla domanda interna (e in coincidenza in realtà con il lancio del quantitative easing della Bce). Negli ultimi trimestri è emerso un lievissimo rallentamento, che si è riflesso anche sulla domanda interna.
Ridotto il deficit commerciale
È invece migliorata, in coincidenza con l’insediamento di Macron, la bilancia commerciale. Il paese, a differenza di Germania e Italia, ha cronicamente un deficit commerciale (innanzitutto con il partner tedesco): dal punto di vista della qualità dei prodotti la competitività della Francia, segnala l’Ocse, è penalizzata dalle limitate spese per ricerca e sviluppo delle aziende, che hanno privilegiato l’outsourcing come strategia di internazionalizzazione. Il presidente ha, tra i suoi obiettivi, anche quello di migliorare la situazione delle imprese, oberate tra l’altro da un forte indebitamento (il 73% del pil), ma senza accenti mercantilisti. L’obiettivo è però di lungo periodo e sarebbe sbagliato attribuire al presidente questo piccolo miglioramento.
Crescita più rapida
In ogni caso, la Francia è stata una forza di traino di Eurolandia, in questi due anni. Se l’Unione monetaria nel suo complesso è apparsa più veloce, tra le maggiori economie la Francia ha fatto sicuramente meglio della Germania, appesantita alla fine dell’anno scorso soprattutto dalle difficoltà del settore auto, e dell’Italia, che per due trimestri è scivolata in recessione. Per molti analisti, e forse per la stessa Bce, è stata la prova che le difficoltà di Eurolandia erano legati a fattori idiosincratici, limitati ai singoli paesi.
Il recupero della produttività
La produttività, per ora lavorata, è andata intanto decisamente meglio in Francia che in altri paesi, dopo un periodo di relativa lentezza (anche rispetto ai salari). Anche in questo caso, è presto per attribuire agli interventi di Macron un vero impatto. La cancellazione dell’imposta patrimoniale Isf, secondo l’Ocse, potrebbe però aumentare la produttività dello 0,8%, mentre la semplificazione di alcune regole per le imprese (fallimenti, soglie di dimensione, piani di partecipazione dei lavoratori) aumentarla dello 0,2%, e la riduzione delle incertezze sui costi del licenziamento e l’aumento delle spese a favore della formazione sul lavoro dello 0,1% ciascuno. In dieci anni, però.
Tassi bassi per le imprese
A migliorare la situazione ha contribuito un livello basso di tassi creditizi. Da fine 2016, al termine della presidenza Hollande, il costo del credito medio praticato alle imprese non finanziarie è sceso al di sotto anche di quello prevalente in Germania e a partire da agosto 2017 sono progressivamente calati fino all’1,5%. Né le difficoltà politiche di Macron a cominciare dalla primavera del 2018, né la successiva protesta dei Gilets Jaunes si sono tradotte in tassi più alti per il mondo produttivo.
Rendimenti stabili
Anche i tassi di mercato sono infatti calati. La Francia non ha mai smesso di godere della fiducia degli investitori. Il livello dei rendimenti dei titoli di Stato decennali, superiore a quello tedesco ma inferiore a quello medio di Eurolandia, si è quindi mosso senza segnalare strappi, a differenza di quanto è accaduto, per esempio, in Italia, malgrado i molti incidenti politici di Macron (che non hanno però reso instabile la sua presidenza).
La flessione delle spese pubbliche
Ha sicuramente contribuito anche il rigore fiscale voluto da Macron. Allo scopo di ridare credibilità e soft power alla Francia (soprattutto nei confronti della Germania,e con l’idea di cogestire su un piano di parità la leadership europea), il governo di Parigi si è impegnato a un contenimento delle spese pubbliche con l’obiettivo di portare il deficit a zero entro il 2022. I tagli sono stati evidenti per le spese correnti (in rapporto al pil, che è cresciuto), mentre gli investimenti sono rimasti stabili ai livelli (ridotti) della fine della presidenza Hollande (intorno al 3,4%). Non si è registrato, però, un effetto restrittivo sull’economia perché le spese, in valore e in volumi, sono comunque aumentate.
Gli ultimi della cordata
Perché, allora, il disagio? In Francia l’aumento del pil pro capite e dei salari reali - segnala l’Ocse - fatica a trasformarsi
in un aumento di potere d’acquisto per unità di consumo, che è da anni stagnante. È possibile quindi che a soffrire del rigore
fiscale sia stata non l’economia nel suo complesso ma la coesione sociale, soprattutto nel rapporto con le aree meno urbanizzate,
che da anni assistono a una desertificazione dei servizi pubblici (e, drammaticamente, degli ospedali). Nella sua enfasi
ai premiers de cordée, i capocordata, Macron - malgrado i moniti dell’allora ministro degli Interni Gérard Collomb - ha un po’ dimenticato chi
era dietro, e lontano dal centro. È stato proprio lì, nel “suo” Ovest, che è emersa la protesta dei Gilets.
Un paese difficile da governare
La Francia è del resto un paese difficile: grande quasi il doppio della Germania, più del doppio dell’Italia, ha una popolazione
di 67 milioni di persone (il 10% in più dell’Italia, meno della Germania), molto “sparpagliata”, al di là di Parigi e Marsiglia:
in media i Comunes hanno poco più di 1.900 abitanti. È dunque difficilissimo, e ancor più in una fase di contenimento dei
costi, portare i servizi pubblici - poste, scuole, ospedali - vicini al cittadino. Gli stessi luoghi di lavoro sono lontani:
i francesi impiegano in media tra tre quarti d’ora a un ora per raggiungerli. In auto, perché i trasporti pubblici non sono
efficienti (non a caso attorno al tema dell’auto è esplosa la protesta dei Giltes). I cittadini, ha ammesso lo stesso Macron,
si sentono «abbandonati»; e lui non è stato in grado di incidere su questo radicato sentimento. Va riconosciuto: non era
facile.
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