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Usa-Cina, scattano i dazi americani. Trump: «Accordo ancora possibile»

NEW YORK - «Chi è prudente sarà vittorioso». Nell'Arte della Guerra, antico manoscritto di arte militare, Sun Tzu duemila e cinquecento anni fa insegnava la resilienza, la capacità di andare avanti e resistere alle avversità per vincere, infine, i conflitti. In queste ore il vice premier cinese Liu He è a Washington per portare avanti i negoziati commerciali con gli Stati Uniti. Tutto negli ultimi giorni dice che sarà molto complesso giungere a un accordo con gli americani. Forse impossibile. Eppure nonostante le minacce di dazi l'uomo di fiducia del presidente Xi Jinping, l'economista 67enne Liu, il più americano tra i leader cinesi, con un master ad Harvard, apertamente riformista, tenace negoziatore, quello che lo stesso Trump definisce “un grande uomo”, assieme alla delegazione cinese ha deciso di partire per tentare ancora l'intesa.

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Cinque mesi di negoziati
Dalla tregua tra Stati Uniti e Cina siglata alla cena del G 20 in Argentina, il primo dicembre, sono passati cinque mesi e, con questo, undici round negoziali ognuno della durata di diversi giorni.

Scattano i dazi
Alla mezzanotte e un minuto del 10 maggio entrano in vigore gli aumenti dei dazi americani dal 10% al 25% su 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi: pesca, carne e alimentare, chimica, metalli, pelletteria, plastiche e gomma. Pechino è pronta a rispondere con i suoi contro-dazi, aumentando quelli già in vigore che coprono per ora un terzo dell'export americano e reintroducendo le tariffe del 25% sulle auto made in Usa.

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Trump telefona a Xi
Trump ha detto di aver ricevuto “una bella lettera da Xi” e che un accordo è ancora possibile. Nelle prossime ore telefonerà al presidente cinese. Resta da capire se dalle minacce passerà alle pacche sulle spalle. I negoziati sono iniziati ieri. Le due delegazioni si sono incontrate nell’ufficio del rappresentante speciale al commercio Robert Lighithizer. In serata il vice premier Liu è stato ricevuto alla Casa Bianca dove ha cenato assieme a Trump, Lighthizer e al segretario al Tesoro Steven Mnuchin. I negoziati continuano per tutta la giornata di oggi, nonostante l’aumento dei dazi. Il capo negoziatore cinese ha detto che è venuto “con la massima sincerità per tentare di risolvere con razionalità i disaccordi e le differenze che ci sono ancora tra Cina e Stati Uniti ” e che l’aumento dei dazi “ non è la soluzione del problema”.

I punti controversi
Al centro dello scontro ci sono due punti sui quali i cinesi non arretrano, legati alla tutela delle proprietà intellettuale e agli aiuti pubblici concessi da Pechino alle aziende, nel tentativo di creare dei campioni globali nei rispettivi settori come scritto nel piano Made in China 2025.

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Sei memorandum
La bozza del documento sull'accordo ha sei memorandum d'intesa su: agricoltura, barriere non tariffarie, proprietà intellettuale, servizi finanziari, trasferimento di tecnologie e stabilizzazione valutaria. I cinesi hanno offerto di acquistare 1.200 miliardi di dollari di prodotti made in Usa nei prossimi sei anni per diminuire il disavanzo. Ma sono irremovibili sul punto dei cambiamenti strutturali che, tradotto, significa rinunciare agli aiuti di stato per le aziende pubbliche cinesi, uno dei capisaldi alla base del piano di sviluppo Made in China 2025. Nell'energia la Cina è pronta ad acquistare 18 miliardi di gas naturale liquefatto americano. Nell'agricoltura 30 miliardi di ulteriori acquisti di soia, riso, mais e grano. Pechino inoltre è pronta a cancellare il divieto all'export per la carne di pollo americana, attivo dal 2015 dopo l'influenza aviaria.

Cambio di atteggiamento
L'accordo fino a pochi giorni fa sembrava vicino, con una convergenza tra le due delegazioni sul 90% dei punti del documento di lavoro. Al termine del decimo round negoziale a Pechino, la scorsa settimana, gli Stati Uniti hanno cambiato atteggiamento. Lighthizer ha accusato i cinesi di aver fatto dei passi indietro rispetto alle richieste americane. Trump domenica ha twittato dei negoziati troppo lenti e dell’aumento dei dazi in arrivo.

La settimana nera dei mercati
Sui mercati finanziari globali si sono scatenate le vendite, con i listini ai minimi da 5 settimane. Anche ieri giornata di passione. Con tutte le borse negative. Al termine di una settimana da dimenticare: -3,25% Dow Jones, -3,8% Nasdaq, -3% S&P 500 e addirittura -4,03% Euro Stoxx e -5,5% Shanghai, dalla chiusura di venerdì 3 maggio. Con i timori per quello che potrà accadere in assenza di accordo tra le due superpotenze a partire dalla prossima settimana.

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Crescita mondiale a rischio
Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita globale nel 2019 per le tensioni commerciali. Nel primo trimestre gli scambi globali sono scesi dell'1,8% rispetto allo stesso periodo 2018. Il calo maggiore per il commercio estero dal maggio 2009, dai tempi della crisi finanziaria mondiale.

Lo sguardo lungo di Pechino
I cinesi abituati ai tempi lunghi e alle riforme graduali delle loro filosofia tradizionale fanno fatica a stare al passo dei cowboy americani e al loro tutto e subito. Gli osservatori in coro riconoscono all'amministrazione Trump di aver riportato al centro dell'attenzione il problema degli squilibri commerciali con Pechino e di un modello di globalizzazione che fa acqua. Ma non tutti sono convinti che le ricette protezionistiche di Trump siano le migliori in un mondo interconnesso.

Da trade war 40 miliardi di perdite Usa
La guerra commerciale con la Cina è già costata agli Usa 40 miliardi di dollari in termini di perdita di export, secondo uno studio dell'Institute of international finance. E sullo sfondo ci sono gli altri dazi del 25% per 325 miliardi di dollari che Trump ha già detto di voler introdurre. Nuovi dazi che colpirebbero i prodotti esportati dalla Cina in settori come lo sportswear (Nike) e l'hi-tech (Apple), simbolo della globalizzazione, che farebbero aumentare ancora di più il conto delle perdite per le aziende americane. Quelle che Trump nel suo piano America First cerca di valorizzare.

Economia Usa a gonfie vele
Le prossime ore diranno come andrà a finire questa partita a poker tra Stati Uniti e Cina. Trump nel suo alzare la voce è mosso da ragioni elettorali – l’altra sera in Florida ha ripetuto davanti ai suoi sostenitori che il mancato accordo “è tutta colpa della Cina” – ed è anche confortato dal buon andamento dell'economia americana che, nonostante la guerra commerciale, nel primo trimestre è cresciuta del 3,2% con la disoccupazione ai minimi da 50 anni.

Per la Cina nulla è cambiato
Per la Cina abituata a guardare lontano nulla è cambiato. Prudenti per essere vittoriosi. Come ha detto il portavoce del ministro del Commercio, Gao Geng “la Cina è impegnata a risolvere le dispute commerciali, a mantenere le sue promesse e niente è cambiato”. Pechino però è pronta a rispondere alle tariffe americane per “salvaguardare i suoi legittimi diritti e interessi”. La posizione cinese è sempre la stessa: “Ci opponiamo all'aumento delle tariffe unilaterali. Non c'è un vincitore nella trade war. Questo non è in linea con gli interessi americani, non è in linea con gli interessi americani e non è nemmeno in linea con gli interessi globali”, ha detto Gao.

Il Congresso e la proprietà intellettuale
Sul tema della proprietà intellettuale mercoledì 6 maggio il Congresso americano ha pubblicato un rapporto intitolato “How chinese companies facilitate technology transfer from the United States”. Nel report viene evidenziato come la Cina in questi anni abbia fallito nella protezione dei diritti di proprietà intellettuale e nella protezione degli investitori americani, un punto chiave nei negoziati commerciali per gli Stati Uniti. Secondo lo studio redatto dalla Commissione relazioni economiche e sicurezza Usa-Cina, il governo cinese ha permesso e favorito il trasferimento forzoso delle tecnologie e il cyber spionaggio in questi anni. Il caso Huawei è solo la punta di diamante di questa vicenda. Reparti dell'esercito cinese, come quello russo, ma anche la Nsa americana, sono ormai dedicati a questo tipo di attività. La Cina ha sempre rispedito al mittente le accuse “non ragionevoli e non basate sui fatti – ha detto ancora il portavoce del ministero del Commercio. “Il governo cinese incoraggia e rispetta le aziende cinesi e quelle straniere a effettuare scambi tecnici e cooperazione in conformità con i principi di mercato, e non ha mai chiesto trasferimenti tecnologici forzati”, ha spiegato Gao.

L'ultimo schiaffo: lo stop a China Mobile
Ma a Washington la percezione è diversa. Ieri è arrivato l'ennesimo schiaffo. Per timore di spionaggio la Federal Communications Commission ha negato a China Mobile l'accesso al mercato americano. Decisione presa all'unanimità. La Fcc è convinta che l'azienda di tlc, controllata dal governo, rappresenti un rischio per la sicurezza nazionale. “Il governo cinese - ha spiegato il presidente dell’agenzia federale Ajit Pai - potrebbe usare China Mobile per trarre vantaggio della nostra rete telefonica per raccogliere intelligence contro le agenzie del governo americano e altri target. E' un rischio inaccettabile”. China Mobile aveva presentato la domanda per entrare nel mercato americano nel 2011 per i servizi di interconnessione tra paesi. Il via libera le avrebbe dato accesso alle linee telefoniche fisse, a quelle della telefonia mobili e alle comunicazioni satellitari americane.

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