Mondo

Pechino: dazi su 60 miliardi, meno Boeing e stop acquisti…

  • Abbonati
  • Accedi
TRADE WAR

Pechino: dazi su 60 miliardi, meno Boeing e stop acquisti gas e prodotti agricoli Usa

NEW YORK - La guerra dei dazi continua. E le borse affondano. La Cina ha fatto sapere che dal primo giugno prossimo alzerà i dazi su 60 miliardi di dollari di esportazioni americane, interromperà i maggiori acquisti promessi di prodotti agricoli ed energetici (gas liquefatto) e ridurrà gli ordini di aerei Boeing. Sono 2.493 i beni Made in Usa colpiti da dazi del 10%, 20% e 25% dall’attuale 5 e 10 per cento.

Finora Pechino aveva imposto dazi su 110 miliardi di esportazioni americane, pari a un terzo del totale. Inoltre Pechino potrebbe reintrodurre i dazi del 25%, sospesi nei mesi scorsi, sui Suv made in Usa.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha consigliato questa mattina alla Cina con un tweet di non “replicare” all'aumento delle tariffe commerciali deciso nei giorni scorsi dalla Casa Bianca perché questo «non farebbe che peggiorare le cose». «La Cina ha approfittato degli Stati Uniti durante talmente tanti anni che ora ha un grosso vantaggio perché i nostri presidenti non hanno fatto il loro lavoro dunque farebbe meglio a non replicare perché questo non farebbe che peggiorare le cose».

La seduta a Wall Street è iniziata all’insegna delle vendite per le tensioni commerciali tra le due superpotenze. Il Dow Jones cede oltre , il 2,2%, con un calo di 588 punti nelle prime fasi delle contrattazioni, , lo S&P 500 il 2,3% e il Nasdaq addirittura il 2,6 per cento. Il petrolio vola del 2,4%. E l’indice Vix che misura la volatilità dei mercati ha avuto un balzo di oltre il 30%. I titoli di Uber, che venerdì è entrata nel mercato americano per quella che doveva essere l'Ipo dell'anno, continuano a soffrire pesantemente. Questa mattina le azioni sono scese sotto i 39 dollari (le azioni Uber con un pricing a 45$ avevano cominciato a essere scambiate a 42$ con un forte calo già in avvio di contrattazioni).

L'undicesimo round di negoziati tra Stati Uniti e Cina, a Washington, si è concluso venerdì scorso senza un accordo. Sotto il fuoco di fila dell'aumento delle sanzioni, voluto da Trump, entrato in vigore lo stesso venerdì su 200 miliardi $ e 5.7oo categorie di prodotti cinesi.
La Cina già la scorsa settimana si era detta pronta a introdurre i suoi contro-dazi, ma per ora non aveva fatto. Questa mattina il ministero delle Finanze cinesi ha pubblicato l'annuncio dei nuovi dazi anti americani che partiranno da giugno.

FOCUS / Usa-Cina: nessun accordo ma i negoziati proseguono

I negoziati non si sono interrotti. Ma la tensione è altissima. Entrambe le parti la scorsa settimana avevano confermato che le consultazioni sono state “costruttive” e “continueranno” nel prossimo futuro. Si continuerà a negoziare, a Pechino, ma la data non è stata resa nota. Gli americani puntavano a chiudere entro tre quattro settimane. Prima dell'incontro tra Xi e Trump al G 20 in Giappone il 28-29 giugno.
Il quadro di fondo non è cambiato. Gli Stati Uniti tirano la corda: chiedono alla Cina di eliminare gli aiuti pubblici alle aziende e di rivedere il loro piano Made in China 2025, oltre a una maggiore tutela della proprietà intellettuale e degli investimenti stranieri. La Cina come precondizione di un eventuale accordo vuole che vengano cancellati tutti i dazi.

“La Cina non farà nessuna concessione in materia di principì”

Liu He, capo negoziatore di Pechino 

Le 3 condizioni di Pechino
Il capo delegazione cinese Liu He alla fine dei negoziati ha concesso un'ampia intervista ai media cinesi. Ha spiegato che «la Cina non farà nessuna concessione in materia di principì». Per la prima volta, rompendo la sua tradizionale moderazione, ha fatto sapere quali sono le sue condizioni. Liu ha detto che ci sono tre punti imprescindibili da parte cinese per poter sottoscrivere la pax commerciale. Primo, come detto, la rimozione delle tariffe. Secondo: che i maggiori acquisti di prodotti americani per riequilibrare il saldo commerciale siano in linea «con la domanda reale» dei consumatori cinesi. Non un regalo, quindi. Terzo – punto non irrilevante per i cinesi – che il testo dell'accordo sia «bilanciato» e volto ad assicurare la “dignità” a entrambe le nazioni. Tradotto: che non ci sia un solo vincitore nella trade war, la più grave disputa commerciale dagli anni Trenta. Un solo vincitore come Trump che ha interesse, prima delle elezioni presidenziali, ad apparire tale, ma che il risultato alla fine del match sia il più possibile di parità. Lo stesso Trump stamattina ha avvisato dei pericoli di quest'escalation dei dazi che lui stesso ha avviato.

Le tre condizioni del capo negoziatore cinese mettono in luce le difficoltà ancora sul tavolo per trovare una sintesi positiva in un'intesa sempre più complessa tra le due prime potenze mondiali mosse da interessi diversi e contrastanti.
Gli Stati Uniti hanno concesso tre-quattro settimane di tempo alla Cina per tentare di chiudere l'accordo. Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha quasi dato un ultimatum a Pechino. Ma è evidente che le concessioni non possono essere solo da una parte. La risposta di Pechino è arrivata chiara, subito dopo. D'altronde Liu He aveva già precisato giorni fa che la Cina non intende negoziare con la pistola puntata alla tempia.

FOCUS / Dalle lavatrici agli iPhone: l'escalation dei dazi tra Usa e Cina

L’annuncio dei nuovi dazi americani
Le brutte notizie sui dazi non sono finite. Perché oggi, come già annunciato da parte americana, il Responsabile speciale al commercio Robert Lighthizer annuncerà i nuovi ulteriori dazi che gli Stati Uniti sono pronti a introdurre, Trump gli ha già dato il via libera: una tassa del 25% sugli ultimi 325 miliardi di dollari di export cinese rimasti per ora fuori dall'offensiva protezionistica americana.

Con questa decisione tutto l'export cinese negli States verrebbe tassato. In questa ultima “tranche” di prodotti rientrano categorie sensibili per le aziende americane, come le scarpe e l'abbigliamento sportivo, i giocattoli e soprattutto l'elettronica di consumo. I prodotti che la Corporate America con la globalizzazione selvaggia realizza in Asia. Le Nike e gli iPhone rivenduti in Occidente dieci volte tanto.

© Riproduzione riservata

>