NEW YORK - Le Avon Ladies diventano Senhoras. Fuor di metafora, lo storico marchio americano della cosmesi, pioniere delle vendite porta a porta di prodotti di bellezza e finestra di opportunità di lavoro e indipendenza finanziaria
per generazioni di donne nel Novecento, passa di mano. Finisce appunto, con le ultime firme che paiono ormai soltanto una formalità, ai brasiliani di Natura Cosmeticos.
È una trasformazione - proiettata verso i mercati internazionali e anzitutto di paesi emergenti e in via di sviluppo - che
era nell’aria quanto i profumi che fanno parte del suo tradizionale portafoglio di prodotti. Evoluzioni e rivoluzioni - nella
società, nei comportamenti e nei gusti in America e nel mondo - hanno “complottato” per questo esito.
L’azienda era nata nel lontano 1886 da un venditore ambulante newyorchese di libri – in particolare di Bibbie –, David McConnell, che aveva fatto di necessità virtù: visto il magro reddito che gli garantiva la carta stampata, cominciò ad aggiungere all’odore dell’inchiostro una linea di fragranze che lui stesso faceva in casa (la prima, al sentore di rosa, la diede gratuita assieme all’acquisto di un volume).
Acceleriamo ai nostri giorni: anni di declini, crisi e riorganizzazioni avevano visto moltiplicarsi - e poi realizzarsi - voci di cessione fuori dai confini
di quello che sotto gli eredi di McConnell era diventato un impero iconico.
Inizialmente, nel 2016, è stato lo scorporo delle ormai più che mature attività nordamericane, rilevate per tentarne un risanamento
dal fondo di private equity Cerberus. Oggi vanno sotto il nome di New Avon e solamente il mese scorso sono state definitivamente
cedute per 125 milioni al gigante sudcoreano del largo consumo Household & Healthcare. Ora tocca al cuore del business: la
Avon Products, i cui titoli sono rimasti quotati a New York ma la cui sede era stata spostata formalmente a Londra per segnalare
un nuovo spirito internazionale, dove maggiori erano rimaste le prospettive d’affari con l’avanzata dell’emancipazione e di
nuovi ceti medi: Avon è stata valutata nell’ultima operazione due miliardi di dollari, più degli 1,4 miliardi della sua market cap alla vigilia. Dovrebbe passare al 76% a Natura, con il suo fatturato annuale da 5,5 miliardi buono tuttora per il quinto posto nella classifiche
mondiale dei cosmetici.
Questo trasloco delle proprietà non significa che i soci americani rimarranno lontani dal gruppo. Cerberus detiene una significativa partecipazione proprio nel colosso brasiliano, leader del settore nel suo Paese e con
forti radici a sua volta nelle reti di vendita diretta. Oltre che con una presenza in Europa, in particolare in Francia e
in Gran Bretagna dove possiede Body Shop. La scommessa, di brasiliani e americani, è che l’unione della popolarità di Avon
con le attività di Natura possa trasformarsi in inedito lustro e forza competitiva per il nuovo gruppo.
La leggenda di Avon è sicuramente meritata. I profumi da regalo ancillare presto divennero di ben maggior successo dei libri,
che il fondatore McConnell abbandonò senza remore. Agli albori Avon era la California Perfume Company, con il primo stabilimento
produttivo che nulla aveva a che fare con la costa occidentale e aperto, invece, nel 1897 a Suffern, New York, su una tratta
ferroviaria di facile accesso per la spedizione dei prodotti. Il nome e marchio Avon - in omaggio a Shakespeare e alla sua
Stratford-on-Avon - arriva nel 1939, grazie al figlio di McConnell che aveva ereditato l'azienda alla scomparsa del padre-imprenditore
due anni prima.
Le ambizioni e l’influenza della società erano già evidenti ben prima di quella svolta “teatrale”. Il sistema di direct-marketing era stato tenuto a battesimo fin dal 1886 da Mrs. PFE (Persis Foster Eamis) Albee. Era il primo del suo genere. Mrs. Albee, scomparsa nel 1914 all’età di 78 anni, divenne la prima vera Avon Lady, venditrice porta a porta dei prodotti, ma anche una pioniera delle donne-imprenditrici, reclutando e organizzando durante le sue visite l’originale squadra di rappresentanti. Una vera novità per chi era spesso privato di opportunità occupazionali e di guadagno - in questo caso sarebbe stato un meccanismo di commissioni - fuori da casa.
Il primo catalogo Avon, ancora senza immagini, comparve nel 1896 e l’anno successivo un traguardo di performance fu tagliato con la prima giornata da 500 dollari di vendite. Al primo anno di attività la società aveva 20 profumi - il primo fu un set chiamato Little Dot Perfume - e nel 1902 vantava un’intera gamma di cosmetici. Nel 1920 la crescita fece raggiungere il milione di dollari di vedite annuali. Travagli e drammi della storia influenzarono ma non fermarono la società.
Durante la Seconda Guerra Mondiale cambiò la produzione: gli impianti sfornarono repellenti per insetti e bombole per maschere antigas. Il Dopoguerra portò in dote il boom: la rete
di rappresentanti, delle Avon Ladies, divenne un esercito di 65.000 persone nel 1949, in aggiunta a 2.500 dipendenti. Negli
anni Cinquanta il suo slogan - Ding Dong, Avon calling - era sulle labbra di tutti. Nel 1972 il fatturato superò il miliardo.
Ma il nuovo secolo è stato assai meno generoso con Avon. La maturazione del Paese e del mercato interno, il moltiplicarsi
di concorrenti di qualità a prezzi bassi nei cosmetici, ritardi nel servire nuove fasce di consumatori a cominciare dagli
ispanici, debacle tecnologiche e l’arrivo dell’e-commerce sono culminati in una lunga spirale di crisi per il marchio.
Ripetuti sforzi di rilancio dell’intero gruppo - l’ultimo sotto il chief executive Sheri McCoy all’inizio del decennio - si arenarono su un continuo collasso delle vendite domestiche, più che dimezzate tra il 2007 e il 2014, e sulla perpetua contrazione e minor rilevanza di quella che era stata un tempo l’ossatura del gruppo, la rete di venditori. Nel 2015 un primo scorporo del business Nordamericano, ceduto per 170 milioni al menzionato fondo Cerberus, per fare cassa e puntare maggiormente sulle più promettenti operazioni internazionali. Quelle attività globali che cercheranno di trovare nuovo smalto in Natura Cosmeticos.
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