Gli Stati Uniti congelano la causa aperta davanti alla World trade organization (Wto) contro la Cina sulla violazione della proprietà intellettuale, il fronte principale della guerra dei dazi scatenata da Washington, accanto a quello del deficit commerciale con Pechino.
Secondo una nota pubblicata ieri sul sito della Wto, con una lettera datata 3 giugno, la Casa Bianca ha chiesto di sospendere il procedimento (Ds542) per sei mesi e quindi fino al 31 dicembre. Il giorno successivo, Pechino ha accettato la richiesta. L’Amministrazione Usa non ha spiegato i motivi della sua decisione, né sono emersi dettagli dalle autorità cinesi o dalla Wto.
Il timing è significativo. A maggio, le tensioni tra Washington e Pechino hanno vissuto l’ennesima escalation e la richiesta di sospendere la causa alla Wto è arrivata mentre pende la minaccia di nuovi dazi su 300 miliardi di dollari di prodotti cinesi. E quando mancano poche settimane al G20 di Osaka (28-29 giugno), dove il presidente statunitense Donald Trump potrebbe incontrare il capo di Stato cinese Xi Jinping.
Fermare la causa sulla proprietà intellettuale avviata davanti alla Wto potrebbe allora essere un segnale distensivo, in vista di un eventuale armistizio, ma l’erraticità degli orientamenti dell’Amministrazione Trump lascia aperto ogni scenario.
Il procedimento contro Pechino
L’apertura del procedimento davanti al meccanismo di soluzione delle dispute della Wto risale al 23 marzo 2018 e precede i
dazi che sarebbero arrivati qualche mese dopo contro il «furto» di segreti industriali e il trasferimento forzato di tecnologie
ai danni delle aziende americane che operano in Cina attraverso joint venture con partner locali. La guerra commerciale era
però già iniziata: l’indagine dell’Ufficio dello Us Trade Representative, l’agenzia guidata dal falco Robert Lighthizer, che
avrebbe portato a quei dazi risale all’agosto del 2017 e nel gennaio del 2018 Washington aveva imposto tariffe sull’import
di lavatrici e pannelli solari cinesi e sudcoreani.
Washington avvia il procedimento presentando alla Wto una richiesta di consultazioni con Pechino su una serie di norme accusate di violare i diritti di proprietà intellettuale statunitensi e quindi di infrangere le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e l’accordo Trips (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights). È questa solo una parte del fronte aperto dagli Usa, che si allarga a temi più ampi, come la forzosa cessione di tecnologia da parte delle imprese americane che, per entrare nel mercato cinese, devono stipulare joint venture.
Aperta la procedura alla Wto, Unione europea e Giappone hanno chiesto di partecipare alle consultazioni tra Usa e Cina. In particolare, in un documento del 5 aprile, Bruxelles spiega che l’export Ue di prodotti e servizi hi-tech, «per i quali la tutela della proprietà intellettuale è fondamentale», vale circa 680 miliardi l’anno, 30 dei quali sono destinati alla Cina. Qualche mese dopo, l’Unione europea ha avviato un caso simile a quello americano (Ds549), accusando Pechino di ampie violazioni della proprietà intellettuale, anche sulla base del Protocollo di ingresso della Cina al Wto.
Fallite le consultazioni tra Pechino e Washington, gli Usa hanno chiesto la costituzione di un panel giudicante, che è stato formato il 16 gennaio del 2019.
L’accusa di Washington
Gli Stati Uniti accusano la Cina di «infrangere le regole della Wto» con un lungo elenco di leggi e provvedimenti che consentono
alle imprese cinesi, partner di aziende Usa in joint venture, di continuare a utilizzare la tecnologia acquisita dalla controparte
americana attraverso un contratto di licenza, anche dopo che questo sia scaduto.
Inoltre, Washington sostiene che «la Cina nega ai detentori stranieri di brevetti la possibilità di proteggere i propri diritti di proprietà intellettuale come pure di negoziare liberamente sulla base di criteri di mercato i propri contratti di licenza e ogni altro contratto relativo all’uso di tecnologie».
Le riforme cinesi
Dopo l’avvio del procedimento Usa alla Wto, la Cina quest’anno è intervenuta più volte sulla propria legislazione in materia,
come ricorda l’avvocato Laura Formichella, Of Counsel Nctm Studio Legale: «Il 23 aprile del 2019, Pechino ha emendato la legge
sui marchi, che è la legge simbolo in materia di proprietà intellettuale e sulla quale erano state sollevate molte rimostranze
dagli Stati Uniti e da altri Paesi». Le nuove disposizioni, aggiunge Formichella, entreranno in vigore il 1° novembre 2019:
dettano criteri più stringenti rispetto al passato sulla registrazione in malafede dei marchi, aumentano i risarcimenti a
carico dei soggetti che violano le leggi, prevedono la confisca dei beni e delle attrezzature utilizzate per commettere quelle
infrazioni. «Queste misure - sottolinea Formichella - sono state decise da Pechino anche per cercare di trovare una soluzione
alle dispute pendenti con Washington».
Accanto agli interventi sulla tutela dei marchi, a partire da marzo, la Cina ha modificato altre leggi: quella a tutela degli investimenti stranieri (in vigore dal 2020), quella sui trasferimenti di tecnologie crossborder e le norme sui segreti commerciali (in vigore nel 2019). Sono tutti interventi, spiega Formichella, che influiscono sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale dei soggetti stranieri che operano in Cina.
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