Ancora venti di protesta su Hong Kong. Dopo lo sgombero delle strade del centro da parte della polizia, i manifestanti che chiedono il ritiro della legge sull’estradizione in Cina e le dimissioni della governatrice si sono riversati nuovamente nel centro per un nuovo sciopero generale di insegnanti e studenti. È stato intanto rilasciato il «leader degli ombrelli» Joshua Wong, che ha fatto sapere di voler partecipare alla manifestazione. Appena liberato dal carcere di Lai Chi Kok, Wong, nel resoconto dei media locali, Wong ha affermato che Lam «non è più qualificata per essere la leader di Hong Kong».
I dimostranti si sono schierati davanti al palazzo del governo e hanno chiesto le dimissioni della governatrice Lam. Pechino ribadisce il proprio sostegno incondizionato al governo dell’ex colonia britannica. «Il governo centrale continuerà a sostenere con decisione la governatrice e gli sforzi della Regione amministrativa speciale nell’azione di governo nel rispetto delle leggi», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica popolare, Lu Kang.
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La liberazione di Wong
La governatrice «deve riconoscere le sue colpe e dimettersi, farsi carico delle sue responsabilità e lasciare. Dopo aver lasciato
il carcere - ha aggiunto Wong - combatterò con tutti i cittadini di Hong Kong contro questa malvagia legge sulle estradizioni
in Cina», accusata di limitare l’autonomia dell’ex colonia a favore di una maggiore intromissione da parte di Pechino. Il
provvedimento per ora è stato congelato dall’esecutivo, ma i manifestanti ne chiedono il definitivo accantonamento. Wong,
22 anni e in prigione da maggio, è stato liberato in anticipo usufruendo dei benefici della buona condotta, ma non è chiaro
se la decisione sia in qualsiasi modo collegata alle attuali proteste. Ci vorrà un po’ di tempo, ha ribadito Wong, ma «non
importa cosa succede perché mi unirò alle proteste presto». La Borsa lunedì 17 giugno comunque apre in rialzo.
Grosso guaio a Hong Kong
La seconda chance richiesta dalla governatrice Carrie Lam si è infranta contro la marea umana del corteo di quasi 2 milioni
di persone che, nelle stime degli organizzatori del Civil Human Rights Front, domenica 16 giugno ha sfilato pacificamente
nel centro della città. Una prova decisa e solida che, facendo salire di livello le proteste, adesso è ben più di un semplice
campanello d’allarme per Pechino. Le manifestazioni scaturite dalla criticatissima legge sulle estradizioni in Cina sono cresciute
di dimensione oltre qualsiasi ipotesi immaginabile fino a pochi giorni fa, diventando un serissimo grattacapo per la leadership
del Partito comunista cinese visti gli scenari più temuti che si stanno profilando all’orizzonte.
Pompeo: «Trump chiederà chiarimenti al G20»
Parlerà delle proteste in corso a Hong Kong con il presidente Xi Jinping al G20, ma intanto affonda il colpo il segretario
di stato americano Mike Pompeo, in un’intervista a Fox News Sunday. «Si incontreranno fra un paio di settimane, sono sicuro
che sarà fra i temi di cui discuteranno», ha detto Pompeo, menzionando il vertice tra i due leader al G20 di Osaka di fine
mese. Pompeo ha ricordato come il tycoon sia «sempre stato uno strenuo difensore dei diritti umani». Malgrado la parte cinese
debba ancora confermare l’incontro, assieme al già difficile dossier commerciale, Xi dovrebbe, nella lettura americana, cimentarsi
nella questione di Hong Kong, da giorni già derubricata dalla Cina a vicenda «interna». Al di là delle forme, è lecito immaginare
tutta l’irritazione cinese già per l’azzardo fatto da Pompeo, proprio quando Xi si trova nella fase più difficile dei suoi
sei anni alla guida del Pcc e della Repubblica popolare, tra gli effetti della guerra dei dazi con gli Usa diventata anche
tecnologica con lo scontro su Huawei, e con l’economia che mostra sempre più segnali di rallentamento.
Manifestanti vestiti a lutto
Domenica 16 giugno i manifestanti, quasi il doppio rispetto alla domenica precedente e «solo» 338mila per la polizia, hanno
sfilato vestendo abiti neri, lasciando il giallo del movimento degli ombrelli pro democrazia che nel 2014 bloccò la città
per 79 giorni. Hanno chiesto il ritiro in via definitiva della legge, non fidandosi della sospensione sine die della sua discussione
in parlamento annunciata dalla Lam, ma hanno anche scandito a gran voce la richiesta di dimissioni della stessa governatrice,
colpevole di essersi mostrata filo-Pechino e poco attenta alla «voce della città». Così hanno avuto il tono della beffa le
scuse tardive della governatrice maturate non sabato in conferenza stampa, ma solo in serata attraverso un comunicato, quando
l’appello degli attivisti alla mobilitazione aveva radunato quasi il 30% circa dell’intera popolazione di Hong Kong. La governatrice
ha promesso «di avere un’attitudine più sincera e umile nell’accettare le critiche e i miglioramenti in modo da poter servire
il pubblico».
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