Case automobilistiche e concessionari hanno sempre appianato i contrasti fra loro usando la trattativa. E pazienza se in Europa la forza contrattuale delle reti di vendita non è paragonabile agli Usa. Ma ora, con lo spostamento dell’asse della tutela giudiziaria di concessionari e autoriparatori dal regolamento Ue di esenzione di blocco specifico 1400/2002 al più generico Regolamento UE 330/2010 (si veda l’articolo a fianco), si cercano nuove forme di tutela. Per ora ce n’è solo una: l’equiparazione dei diritti della microimpresa a quelli del consumatore, prevista dal Dl 1/2012 e finora rimasta in ombra. La sua applicazione è comunque controversa.
Sin dal 1985 il settore ha fruito di regolamenti specifici di esenzione per categoria. L’ultimo è stato il 1400/2002, scaduto il 31 maggio 2010. La Ue, nel successivo regolamento 461/2010, non ha ritenuto, per la distribuzione di autoveicoli, sussistere problemi tali da richiedere regole più rigorose di quelle del 330/2010 sugli accordi verticali nella filiera produttiva di beni e servizi in generale. Per distribuzione di ricambi e fornitura di servizi di riparazione, invece, il regolamento 461/2010 si limita a riconoscere tre protezioni: quelle su accesso dei riparatori indipendenti a ricambi originali e attrezzature diagnostiche e le misure per impedire il divieto delle case ai fornitori di primo impianto di marcare coi propri riferimenti i ricambi. Per tutto il resto anche il settore post-vendita rientra nel generico regolamento 330/2010.
Ciò espone le reti a rischi di azioni di forza da parte delle case, spesso tollerate dalla giurisprudenza. Ma, sorprendentemente, fra i concessionari non sembrano esserci preoccupazioni: secondo l’Osservatorio di Federauto, che riunisce le associazioni di tutte le marche, otto controversie con le case su dieci si risolvono bonariamente. E anche quelle che finiscono il tribunale si chiudono con accordi, senza arrivare a sentenza, perché le case non amano generare giurisprudenza negativa a proprio carico.
Andrebbero così a sentenza solo le controversie che si risolvono a loro favore. Fanno notizia, ma sono una minoranza. Sono comunque dati da approfondire.
La verità è che la vendita di auto nuove gode di ottima salute, perché è in recupero e anche i margini sono in risalita dopo la crisi. Il momento favorevole è dovuto anche ai maggiori spazi creati dall’uscita dal mercato per la crisi di ben 1.275 imprese concessionarie dal 2007 al 2016 su un totale di 2.785 (-55%), secondo i dati di Italia Bilanci. I dealer hanno interesse a tollerare e mantenere buoni rapporti con le Case.
Anche fra gli autoriparatori tutto pare tranquillo: i problemi sono circoscritti a reperimento e costi delle informazioni tecniche e al boicottaggio della rete ufficiale nel riconoscere la copertura alle vetture in garanzia che fanno manutenzione ordinaria presso gli indipendenti. Secondo i rappresentanti di categoria, tutto è gestibile con minacce di denunzia all’Antitrust. Tutto vero?
In ogni caso, per alcuni giuristi la forma della microimpresa (azienda che esercita un’attività economica con meno di dieci persone e fatturato annuo non oltre i due milioni) tutela contro coercizione e indebito condizionamento da parte dei fornitori, con l’equiparazione delle microimprese al consumatore ora prevista dal Codice del consumo (articoli 18, 25 e 26, comma 1, lettera f) sulle pratiche commerciali scorrette da parte dei professionisti. Non è una soluzione per i concessionari, che hanno ben altre dimensioni (sotto i due milioni ce ne sono meno di una dozzina), ma per le officine.
Fonti dell’Antitrust tendono a respingere la teoria che la tutela del Codice del consumo alle microimprese possa applicarsi anche ai rapporti coi fornitori. Ma la regola esiste e si può cercare di farla valere.
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