Nella seconda metà degli anni 60 del secolo scorso, la Lamborghini Automobili stava uscendo brillantemente dal primo periodo pionieristico che l’aveva vista impegnata totalmente ad avviare la produzione del suo primo prodotto: la 350 GT. Spinta dall’entusiasmo dei due giovani progettisti, Paolo Stanzani e Giampaolo Dallara, e di quell’incredibile personaggio che è stato Ferruccio Lamborghini, la Fabbrica non vide l’ora, appena trovato un minimo di tranquillità, di lanciarsi nello studio di nuovi modelli. Consapevole del proprio limite, nel confronto con le concorrenti di casa Ferrari e Maserati, causato dalla decisione di non partecipare alle competizioni, la dirigenza di Sant’Agata capì che la carta da giocare era il «fattore wow», come si dice oggi, che questi progetti avrebbero dovuto suscitare; accadde così che la Lamborghini fu la prima Casa al mondo a mettere a disposizione della clientela quelli che fino ad allora erano stati dei puri e semplici esercizi di stile.
Con lo sconcerto, da parte della concorrenza, che è facile immaginare; è arcinoto che il primo esempio di questa strategia sia stata la Miura: un’auto così, fino ad allora, la si era vista solo nei padiglioni dei Carrozzieri ai Saloni dell’auto o, tuttalpiù, sulle piste; messa in vendita, ad un prezzo estremamente elevato e con ancora qualche problema di messa a punto, ebbe comunque un successo strepitoso sia di vendite sia di immagine confermando la validità della strada intrapresa. Ecco quindi, ed arriviamo finalmente alla nostra protagonista, che, quando Ferruccio Lamborghini decise di allargare la gamma ad una gran turismo a quattro posti, l’approccio al nuovo modello fu molto simile: per tastare il polso del mercato, uno spettacolare prototipo con enormi portiere vetrate ad ali di gabbiano ed interni in pelle argentata fu presentato a Montecarlo, in occasione del Gran Premio edizione 1967, fungendo da apripista con a bordo i Principi Grimaldi, ben visibili attraverso le ampie vetrature laterali, creando uno scompiglio tra il pubblico del quale ancora si parla.
Equipaggiata da un mezzo motore della Miura (un sei cilindri in linea da due litri) la Marzàl, questo il suo nome, rimase un prototipo ma, visto l’effetto prodotto su chiunque la incontrasse, fu senz'altro l’ispiratrice della splendida Espada che debuttò circa un anno dopo al Salone di Ginevra del 1968; su di essa il V12 4 litri era invece presente con tutta la sua autorità: spostato in posizione anteriore longitudinale, grazie all’ampio spazio nel vano destinato ad accoglierlo, riguadagnò i tradizionali sei carburatori doppio corpo orizzontali per 325 CV e 245 km/h.
Ma, anche questa volta, non fu tanto l’eccellente meccanica a guadagnarsi le più intense luci della ribalta ma la modernità dello stile firmato da Marcello Gandini nel quale assumevano particolare risalto i tanti particolari dal disegno attualissimo e piacevolmente azzardato: ci riferiamo all’impostazione a due volumi, alle prese d’aria «Naca» sul cofano ed al doppio lunotto posteriore, con quello verticale da manovra protetto da una grata in acciaio brunito; per le ruote si mantennero quelle in lega della Marzàl (e della Miura) sicuri di non sbagliare. Furono abbandonate invece, e non a cuor leggero, le porte ad apertura alare che si rivelarono veramente troppo pesanti per potere assicurare, con le tecnologie costruttive disponibili all’epoca, un funzionamento costante nel tempo ed anche le necessarie garanzie di sicurezza.
Dentro, rispetto alla Marzàl, si era preferito rinunciare alla pelle argentata ma a poco altro: le quattro poltroncine, infatti, ne ripetevano le forme pur vedendosi aggiunto un appoggiatesta per ognuna, dimostrando, a quei tempi, grande attenzione alla salvaguardia degli occupanti; la strumentazione, poi, con i suoi contorni ottagonali e la disposizione su piani diversi, era un altro pezzo di design del tutto degno della linea esterna.
Il successo della Espada fu ancora superiore a quello della Miura e venne prodotta per dieci anni in oltre 1.200 esemplari in tre serie; la seconda è del 1971 e mostra particolari meno estrosi sia nell’abitacolo sia fuori: la si riconosce subito per la perdita della griglia sul lunottino posteriore; risvolto positivo, la potenza aumentata a 350 CV. La terza è del 1974 e presenta nuovi cerchi ruota dal disegno più moderno e fanalini posteriori ingranditi; dopo sei anni è ancora bellissima e la Bertone, impagabile alleata della Lamborghini in queste audaci scorribande nello stile, ne propone una versione VIP accessoriatissima fino al televisore posizionato sul tunnel centrale per i passeggeri posteriori.
Oggi la Espada è una splendida cinquantenne che, sul mercato amatoriale, paga leggermente la sua non esasperata sportività: sorte comune a tutte le sue colleghe dei Marchi più nobili; noi ne consigliamo l’acquisto con grande energia poiché i 150/200.000 Euro richiesti per un’esemplare molto buono/eccellente ci paiono un investimento più che corretto per mettersi al volante di una velocissima astronave marchiata Lamborghini da godersi con la famiglia al seguito in un’infinità di occasioni.
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