Sono state dette tante cose su questa Supercar che spesso ci si è dimenticati di quanto è bella; derivata dalla Ferrari 288 GTO del 1984, a sua volta strettamente imparentata con la 308 GTB del 1975, si può dire che porti ai massimi livelli possibili il concetto di forma derivata dalla funzione, con la pura bellezza che ne consegue. Ed è per questo, ne siamo convinti, che anche elementi come l’alettone posteriore che sembra la maniglia di un'auto giocattolo, oppure lo spartano allestimento dell’abitacolo, in questo contesto assumano una nobiltà del tutto assente in altre analoghe realizzazioni firmate da Case meno credibili.
Che sia la magia del Marchio? O la consapevolezza che nella realizzazione di questa macchina vi sia ancora ben presente, e per l’ultima volta, la regia di Enzo Ferrari in persona? Non crediamo: per quanto si tratti di aspetti imprescindibili dell’elevatissimo valore storico e commerciale di questa vettura, affermiamo che con la linea della Ferrari F40, Leonardo Fioravanti, lo stesso autore delle due berlinette citate all’inizio, ha creato il suo capolavoro, punto e basta.
Presentata al pubblico al Salone di Francoforte, nel Settembre 1987, in occasione dei quaranta anni della Casa di Maranello e con una produzione preventivata di mille esemplari, in men che non si dica fu prenotata da quattromila persone. Con la conseguenza che, a fronte di un prezzo di listino di 374 milioni chiavi in mano, moltissimi esemplari vennero scambiati a cifre attorno al miliardo e mezzo di lire dando fuoco alle polveri di una prima bolla speculativa sulle auto da collezione che ha lasciato sul campo parecchi feriti gravi.
In quel contesto, persino Nigel Mansell, allora pilota ufficiale del Cavallino, fu indotto a vendere immediatamente l’esemplare che la Casa, graziosamente, gli aveva riservato; una mossa di gusto molto dubbio (il pilota inglese, d’altronde, non ha mai avuto comportamenti da milord) ma che gli fruttò un bel miliardino abbondante in un quadro di generale follia che allora fece passare in secondo piano (nel senso che la F40, a quel punto, sarebbe stata al centro di questo ciclone anche se fosse stata a pedali) le straordinarie doti meccaniche di questa belva.
Rimediamo noi, con la necessaria umiltà, partendo dalle prestazioni che sono, dopo trenta anni, ancora di primissimo piano: Quattroruote cronometrò oltre 326 km/h e meno di 21 secondi sul chilometro da fermo nonostante un cambio manuale a sole cinque marce e dall’azionamento non velocissimo (l’unica critica che Ivan Capelli, allora collaudatore di quel mensile, rivolse all’auto); ma ciò che impressiona ancora di più sono i 37 metri per fermarsi dai 100 orari ed i dieci con un litro ai 120 all’ora in autostrada: una serie di risultati che possono essere concretizzati solo con motore e telaio d’eccellenza.
Il primo è un V8 a trentadue valvole assistito da due piccoli turbocompressori IHI con relativi intercooler che, lavorando a 1,3 bar, riescono a fare sprigionare dai 2,9 litri del motore la bellezza di 478 CV scatenati che vengono gestiti, vivaddio, solo dalle mani e dai piedi del pilota. Il secondo è una struttura interamente a traliccio tubolare integrata da pannelli in tessuto di carbonio e kevlar che, in soli 117 kg di peso, racchiude una rigidità da primato; sospensioni a quadrilateri, freni a disco ventilati con struttura in alluminio e sterzo privo di assistenza completano un quadro degno di un’auto da corsa; e come tale ci si aspettava che venisse trattata alla Ferrari quando l’hanno sviluppata non potendo immaginare che, praticamente tutte, invecchiassero invece ferme nei garage blindati e climatizzati dei collezionisti.
Situazione, d’altro canto, del tutto comprensibile: infatti, per quanto attorno alla metà degli anni '90 del secolo scorso, allo sgonfiarsi della bolla speculativa cui si è accennato, la F40 si fosse ridimensionata attorno ai trecentocinquanta milioni di Lire di quotazione, è bastato che l’interesse generale attorno ai veicoli da collezione desse cenni di risveglio perché la F40 schizzasse di nuovo alle stelle con risultati d’asta, nell'ultimo anno, mai al di sotto del milione di Euro.
Una quotazione che ci pare, francamente, poco comprensibile per un modello che, alla fine, è stato costruito in 1.311 esemplari: sempre a rischio, quindi, in caso di cambiamenti repentini del mercato, di vedersela velocemente ridimensionata (come già accaduto) ; una quotazione, infine, che presenta la controindicazione già accennata di disincentivarne l’uso: un vero peccato perché, a detta dei fortunati che l’hanno guidata, si tratta di un’esperienza indimenticabile al volante di uno strumento che sembra costruito apposta per esaltare il piacere della guida.
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