Come per la sua sorella Espada, trattata poco tempo fa, nel corrente anno cade il cinquantenario della nascita della Lamborghini Islero (il nome del toro dell’allevamento di don Eduardo Miura che sferrò la cornata fatale al famoso torero Manolete) GT. Destinata a sostituire la 400 GT 2+2, dalla linea molto personale ma ormai invecchiata, la Islero GT è dunque la seconda rappresentante, in ordine di tempo, della famiglia delle tradizionali Gran Turismo di Sant’Agata a motore anteriore, oggi purtroppo priva di eredi; una dinastia posizionata tra quella delle supercar vere e proprie, ancora oggi sfolgorante di luce propria, e quella delle Lamborghini per padri di famiglia, allora rappresentata dalla Espada ed oggi dalla Urus: un impressionante bisonte (più che Toro) mosso da meccanica Audi.
Prima di tornare alla Islero GT, ci si consenta quindi di sollecitarne a gran voce una incarnazione dedicata al ventunesimo secolo in quanto ci pare che il motorismo mondiale ne abbia bisogno; d’altronde il V10 della Gallardo, ora Huracan, è già stato montato con successo in posizione anteriore su berline e familiari della gamma Audi...
Ma rieccoci al Salone di Ginevra del 1968, quando il pubblico poté ammirare la nuova 2+2 del Toro: molto discreta e tradizionale, risultò vagamente deludente in quanto dalla Lamborghini ci si è sempre aspettati dei colpi di teatro come quello rappresentato dalla Miura due anni prima e dalla Espada, debuttante accanto a lei. Sulla Islero, insomma, è subito avvertibile che dietro le sue linee non si nasconde la mano di qualche mostro sacro dello stile automobilistico, ma la solida concretezza della carrozzeria Marazzi incaricata anche della sua costruzione.
Il rovescio della medaglia era che questa GT si presentava come una versione ulteriormente perfezionata della già evoluta 400 GT 2+2 e si trattava, quindi, di un’auto pressoché priva di difetti tranne un consumo di benzina agghiacciante che, però, allora interessava a nessuno dei suoi potenziali clienti; i carburatori, d’altronde, erano sei Weber e neanche piccoli (40 DCOE) necessari per ottenere 320 CV dal suo poderoso V12 quattro alberi a camme in testa da quattro litri ereditato dalla progenitrice; come il telaio, opportunamente identico visto che si trattava di un pezzo di ingegneria allo stato dell’arte del periodo.
Valutandola nel suo complesso, ci si sarebbe potuti convincere che la Lamborghini avesse messo nel mirino un nuovo tipo di clientela desiderosa di non troppo apparire pur volendosi avvalere di un’automobile di primissimo livello; ma si fu poi smentiti in quanto la Islero è rimasta l’unico modello con queste caratteristiche estetiche in tutta la storia del Marchio. In ogni caso la sua totale adeguatezza alla missione la portò ad essere scelta da 125 acquirenti: non pochi, visto che furono acquisiti in un unico anno di produzione; già nel 1969, infatti, le subentrò la Islero GTS con 30 CV in più ottenuti con un innalzamento robusto del rapporto di compressione (da 9,5 a 10,8:1) e del regime massimo di giri (da 6.500a 7.700 giri/min): un intervento che, all’inseguimento di ancora maggiori prestazioni, compromise un poco l’ottimale equilibrio della Islero originaria che ne rendeva piacevolissimo l’uso anche nel traffico cittadino.
In compenso si intervenne migliorando la ventilazione sia dell’abitacolo, sia del vano motore attraverso inediti sfiati sulle fiancate e nell’allestimento dell’abitacolo, ora più lussuoso e con una plancia più moderna per quanto, in caso di montaggio dell’ormai irrinunciabile condizionatore, esso dovesse ancora essere posizionato direttamente davanti alle gambe del passeggero esponendolo ad una insopportabile corrente d’aria gelida.
Che sia stato anche questa piccola ma indicativa trascuratezza uno dei motivi del successo immediatamente calante di questo modello? Oppure fu la già citata sobrietà della linea che poco si addiceva ad una Lamborghini? Fatto sta che della Islero GTS se ne produssero solo cento esemplari fino alla fine del 1969 e che essi stentarono a lungo ad essere esitati sul mercato fino a molto dopo che la Jarama, la sua più estroversa erede, era già stata messa in listino. Se la Islero fu certamente una scelta da intenditori allora, a maggior ragione lo è oggi quando la sua rarità fa ampiamente premio sul suo più sottile impatto visivo rispetto alle sue sorelle; è già stata, infatti, ampiamente rivalutata ma tuttavia, ad una valutazione che non raggiunge i 250mila euro, una delle più basse nell’ambito delle Lambo del periodo classico, rimane un ottimo acquisto poiché la sostanza di ciò che ci si porta in garage è della stessa assoluta eccellenza.
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