All’inizio del 1968, anno di nascita della Jaguar XJ6, la Casa britannica disperdeva da anni le proprie energie su di una gamma di berline effettivamente pletorica per un fabbricante di così piccole dimensioni da soli due anni entrata nell’orbita della BMC (British Motor Corporation). Nel Giugno di quell’anno, per esempio, la Jaguar offriva sul mercato italiano le MK II con motori da 2,4; 3,4 e 3,8 litri; le quasi identiche 240 e 340; le molto simili S-Type 3,4 e 3,8; la appena diversa 420 con motore 4,2 litri e infine la ammiraglia 420 G derivata dalla MK X del 1961: l’unica che avesse, diciamo così, una missione a parte.
Una situazione non più sostenibile sia sul piano commerciale sia su quello industriale; ed ecco quindi che la nuova berlina XJ 6 che debuttò di lì a poco al Salone di Parigi, invece che costituire semplicemente una nuova opportunità di acquisto in una gamma di auto sempre molto eleganti ma del tutto obsolete, ne diventò la quasi esclusiva rappresentante, lasciando solo per qualche mese un piccolo spazio agli estremi della gamma rispettivamente alla «entry level» 240 ed alla regale 420 G. Fu questa, da parte di Jaguar, una prudenza superflua: una volta vista la nuova XJ quasi a nessuno venne mai più in mente di acquistare una delle vecchie berline; anche perché la linea della nuova arrivata riuscì nella sorprendente impresa di accontentare sia un nuova clientela più giovane e rampante sia i più tradizionalisti tra i suoi acquirenti più fedeli.
Grazie alla versione 2,8 base della XJ6 divenne ben presto inutile la 240 mentre per potere sostituire efficacemente la 420 G nel ruolo di auto di rappresentanza fu necessario attendere l’arrivo della versione LWB (a passo allungato di dieci centimetri) nel 1972, quando però la G era già stata tolta dal listino da un paio di anni; fu a quel punto della storia quindi, nel 1970, che la XJ rimase l’unica berlina Jaguar disponibile. E senza alcun rimpianto poiché essa si rivelò capace di accontentare tutte le aspettative che la sua splendida linea aveva immediatamente ispirato alla clientela; talmente elegante che Sir William Lyons, presidente della Jaguar e suo disegnatore, ebbe modo di dichiarare che trattavasi della «più bella e raffinata berlina che la Jaguar avesse mai costruito»; concordiamo senza riserve.
Per di più raffinata non solo sul piano stilistico, ma anche in quello tecnico dal momento che sulla XJ vennero concentrati tutti i migliori componenti disponibili sulle berline citate all’inizio: dalla 420 G si prese il motore da 4,2 litri, dalla S-Type le sospensioni posteriori indipendenti e il tutto venne completato da un moderno sterzo a cremagliera, da un impianto frenante a quattro dischi da prima della classe e da un sistema di condizionamento d’aria integrato e capace di accontentare anche gli accaldati automobilisti sud europei e statunitensi.
Per la verità un passo falso venne fatto: il motore 2,8 litri. Pur essendo una semplice riduzione del 4,2 litri, un motore a prova di bomba, qualcosa andò storto per cui, con estrema facilità, gli si bucavano i pistoni; per evitare questo inconveniente in Jaguar si tentò di tutto, la situazione migliorò ma il problema si rivelò insolubile e venne superato solo togliendolo dalla produzione in occasione dell’introduzione della II serie della XJ nel 1973. Che, a quel punto, non poteva più aggiungere il numero sei al suo nome poiché, dal 1972, si era resa disponibile anche la XJ 12: l’unica berlina del tempo con motore a dodici cilindri: un’unità da 5,3 litri e 300 CV che divenne famosa per la sua insuperabile morbidezza, per l’esuberanza delle prestazioni che era capace di imprimere alla pesante berlina su cui era montata, ma anche per la sua problematica affidabilità generale e per la sua mostruosa sete di carburante.
Fu anche estremamente longeva, tanto che, portata infine a sei litri ed alimentata ad iniezione venne prodotta fino al 1997; portatrice di nobiltà, grazie al suo frazionamento, ma di poco altro rispetto alle varie versioni a sei cilindri, cede a queste ultime la palma della migliore scelta per una Jaguar XJ di qualsiasi serie; noi che, in questo caso, stiamo celebrando la prima non possiamo che confermare, consigliando la ricerca di una 4,2 ( la più datata possibile) e magari con il morbido cambio manuale a quattro marce con Overdrive che, sui primi esemplari, era abbastanza diffuso: consente prestazioni molto migliori, due secondi in meno sullo 0-100, e consumi inferiori di un buon quindici per cento rispetto all’automatico: un Borg Warner a tre rapporti molto robusto ma non particolarmente gratificante.
Ottenibile in colorazioni incantevoli, con interno in pelle ed una plancia tra le più belle della storia, la XJ 6 I Serie, è oggi finalmente approdata al ruolo di auto da collezione che le compete; per ora si può ancora trovare attorno ai diecimila Euro ma, crediamo, non per molto.
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