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INDUSTRIA

Auto, made in Italy ormai marginale. La nuova geografia della produzione in Europa

  • –di Pier Luigi del Viscovo

Un giorno non lontano gli Stati Uniti potrebbero vincere il Campionato del Mondo di calcio. Eppure non sono stati i ragazzini americani a giocare a pallone nelle strade, ma gli italiani e i brasiliani.
Molte attività umane hanno una fase epica, le cui radici affondano nella cultura popolare, ma poi si sganciano e si industrializzano, nel senso che diventano frutto di investimenti e di altri fattori “produttivi”. La produzione di automobili non fa eccezione. Nata in quattro grandi Paesi europei, Germania, Regno Unito, Italia e Francia, per decenni la produzione si è sviluppata dentro il sistema imprenditoriale e industriale dei rispettivi Paesi, tanto che ancora oggi a noi piace celebrare quei tempi epici e i luoghi (la Motor valley) che l’hanno cullati.

Oggi non è più così. Stando ai dati Acea, l’Europa ha una produzione di 17 milioni di auto, localizzata per 1/3 in Germania, e va bene, il 10% in Francia e il 10% in UK, e già sembra poco, mentre il Bel Paese ne sforna poco più del 4%, decisamente pochine per chi annovera tra i suoi eroi grandi costruttori, geniali carrozzieri e piloti formidabili. Senza tanta epopea, o meglio ancora senza alcuna epopea, la Spagna produce quasi il 14% delle macchine, e altrettante ne fanno la Repubblica Ceca e la Slovacchia insieme, mentre un restante 15% è distribuito negli altri Paesi.

Quando si guardano queste statistiche, il pensiero va subito all'occupazione. L'Unione Europea impiega ben 2,5 milioni di addetti diretti nella produzione di auto e veicoli commerciali, oltre a 900mila per la fabbricazione di componentistica. La somma dei due conta per oltre l'11% di tutta l'occupazione manifatturiera. Tornando agli addetti diretti, oltre 1/3 di essi lavora in Germania, poco meno del 9% in Francia e meno del 7% sia in UK che in Italia. Detto diversamente, quasi un lavoratore, su due che in Europa fabbricano macchine, non appartiene a quella tradizione motoristica di cui sopra.

La nuova geografia industriale è il frutto di logiche economiche che hanno accantonato quella passione pionieristica, per lasciare spazio all'efficienza, declinata a vari livelli.

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Sicuramente molte scelte di localizzazione si spiegano col costo del lavoro, che non è solo il salario netto ma tutto il carico che l'impresa sopporta, sia in termini fiscali sia, meno visibile, in termini di relazioni con la fabbrica e con i lavoratori. Tuttavia, questi fattori da alcuni anni appaiono più gestibili e anche meno totalizzanti come causa degli insediamenti. Proprio in Italia, FCA ha provato nei fatti che con la necessaria determinazione è possibile avere una manodopera di alta qualità (world class manufacturing) poggiata su nuove relazioni industriali e su un'automazione spinta che attenua il surplus di costo del lavoro.

L’altro fattore importante è la logistica. Le distanze tra fabbrica e fornitori sono un elemento chiave per tenere le scorte di magazzino sotto una soglia accettabile finanziariamente, come pure la distanza con i mercati di sbocco. Anche in questo caso, i soli chilometri non spiegano del tutto.

Le distanze si calcolano in ore e giorni, che dipendono da variabili quali il sistema dei trasporti e della viabilità. In ultimo, ma non meno importante, c'è lo sfondo, il contesto, fatto di tante cose piccole e meno piccole, più o meno distanti dal sistema industriale, che messe insieme costituiscono il livello generale di ospitalità del Paese rispetto a un insediamento produttivo. Per fare un esempio, quando Volkswagen inaugurò nell'ottobre 2016 lo stabilimento di Posznan, Polonia, erano trascorsi appena 23 mesi dal momento della decisione di costruirlo.
La dimensione strettamente economica è fondamentale, poiché l'industria automobilistica europea compete sul mercato mondiale. Dei 17 milioni di auto prodotte, 5,3 prendono la via del mare, verso l'Asia (35%), il Nord America (32%) e le altre destinazioni, per un valore complessivo di 128 miliardi di euro nel 2017, a fronte di 3 milioni di auto importate, pari a 38 miliardi di euro. Insomma, la bilancia commerciale di questi anni è ampiamente positiva e tende ai 90 miliardi.

La probabile fusione FCA-Renault ha il merito di aver acceso i riflettori sull'auto come attività industriale e produttiva. Si tratta di un grande patrimonio dell’economia europea, da cui dipende il benessere non di molti, ma di tutti i cittadini dell’Unione. Esserne consapevoli, nelle stanze dei bottoni, non può che fare bene.

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