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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 19:01.
Scelte limitate: nell'Imu, i poteri deliberativi comunali subiscono una forte limitazione in ragione della quota di imposta erariale, che è pari allo 0,38% dell'imponibile. I Comuni, infatti, possono disporre con regolamento solo dei tributi propri, non anche dei tributi statali.
A questo si devono aggiungere due ulteriori motivi di restrizione. Il primo riguarda il fatto che la legge 44/12 (di conversione del Dl 16/12), ha soppresso il richiamo all'articolo 59, del Dlgs 446/97, tra le disposizioni applicabili ai fini Imu. Il secondo si ricava dalla rigorosa interpretazione affermata nella circolare n. 3 del 2012 del dipartimento delle Finanze. Secondo il ministero, infatti, i Comuni non possono in alcun caso scendere al di sotto dell'aliquota minima stabilita dalla legge. Inoltre, le agevolazioni ammesse devono necessariamente tradursi in una riduzione di aliquote. L'indicazione è stata ulteriormente ribadita nelle risposte fornite ai quesiti proposti dai lettori del Sole 24 ore (si veda l'edizione del 31 maggio). In una delle risposte, si legge che il Comune non può deliberare detrazioni diverse da quelle previste per l'abitazione principale. Ciò significa, in concreto, che non è possibile sostituire le riduzioni di aliquote al di sotto del minimo con detrazioni ad hoc.
A questo punto, è agevole ricostruire i divieti posti ai poteri normativi dell'ente locale. Partendo dagli immobili locati a canone concordato, non sarà possibile approvare aliquote Imu inferiori allo 0,4 per cento. Per le case concesse in comodato gratuito ai figli, invece, il tetto minimo invalicabile è dello 0,46 per cento. Per gli immobili delle Onlus, l'articolo 21, del Dlgs 460/97, consente di deliberare esenzioni sui tributi propri. La presenza della quota statale comporta però che non si possa scendere al di sotto dello 0,38 per cento.
Per i fabbricati delle imprese, la situazione è analoga. L'articolo 13, del Dl 201/11, prevede in questi casi il potere di ridurre l'aliquota sino allo 0,4 per cento. L'unica eccezione ammessa è riferita agli immobili-merce di proprietà delle imprese costruttrici, non locati e ultimati da non oltre tre anni. In questo caso, la riduzione può arrivare sino all'azzeramento della quota comunale (0,38 per cento).
All'interno della forbice di legge, invece, i poteri di adottare aliquote ridotte differenziate sono massimi, sempre secondo la circolare n. 3/DF. Si potranno quindi deliberare aliquote più basse di quella ordinaria anche in ragione della categoria catastale del fabbricato oppure della tipologia di immobile (ad esempio, terreno agricolo o area fabbricabile). Ugualmente massimi sono i poteri per le abitazioni principali, in relazione alle quali si può deliberare una aliquota minima dello 0,2% o anche esentare del tutto l'abitazione, attraverso l'aumento della detrazione. Lo stesso vale per le fattispecie ad essa assimilate dal Comune e cioè per le case non locate degli anziani e disabili residenti in istituti di ricovero e dei cittadini italiani residenti all'estero. Più complessa è la questione degli effetti della eliminazione dell'articolo 59 del Dlgs 446/97, sulla potestà regolamentare dei Comuni, dalle disposizioni utilizzabili nell'Imu. Il dubbio riguarda, in particolare, la possibilità di far rientrare le facoltà qui elencate all'interno della norma regolamentare generale, l'articolo 52, del Dlgs 446/97.
Secondo la tesi più accreditata, le previsioni dell'articolo 59 riferite alle agevolazioni non possono essere recepite per il nuovo tributo comunale. In concreto, questo significa ad esempio che non è possibile modificare il perimetro dell'agevolazione riferita alle aree edificabili possedute da coltivatori diretti e da soggetti Iap, assoggettate a imposizione come terreni agricoli.
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