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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2012 alle ore 15:06.
MILANO - La polemica sulle richieste dell'Imu, e quindi anche i pochi correttivi che i Comuni sono riusciti fin qui a introdurre nella tendenza generalizzata al rialzo, si sono concentrate sulle abitazioni: la stangata, però, si profila ancora più dura per negozi e immobili delle imprese, alle prese anche con recessione e crisi dei consumi. A loro le regole generali dell'imposta non risparmiano alcun rincaro e le scelte comunali non sembrano quasi mai riservare un trattamento "su misura". Risultato: per i negozi e gli uffici gli incrementi rispetto alle richieste avanzate dall'Ici fino allo scorso anno arrivano a superare il 240 per cento (cioè: nel 2012 si paga fino a 3 volte e mezza quanto versato nel 2011), mentre ai proprietari di capannoni industriali il debutto della nuova imposta municipale costerà fino al 155% in più (in questo caso, dove si pagava 100 si verserà 255).
Il rischio era stato abbondantemente previsto fin dalla prima lettura del decreto «Salva-Italia», ma Parlamento e Governo non hanno ritenuto di introdurre correttivi nel provvedimento sulle «semplificazioni fiscali» varato in primavera (quello che ha introdotto l'opzione delle tre rate sull'abitazione principale, per intenderci) e le scelte fiscali che le Giunte stanno definendo in vista della prima scadenza del 30 giugno sembrano peggiorare ulteriormente il quadro. Anche dove si è deciso, almeno per ora, di non allontanarsi dalle aliquote di riferimento fissate dalla legge nazionale, comunque, l'Imu colpirà con molta più decisione rispetto all'Ici.
Il primatista del rincaro, fra i grandi centri, è il Comune di Milano, che in questo calcolo è però penalizzato dal fatto che l'Ici fino al 2011 si è mantenuta a livelli decisamente più bassi rispetto alla media nazionale.
Passare in un solo anno dal fondo alla cima della montagna della pressione fiscale sul mattone costerà ai proprietari di negozi nel capoluogo lombardo un aumento del 243%, mentre nel caso degli uffici la sassata è del 239%. Sistemati in questo modo piccolo commercio e terziario, l'Imu milanese chiederà invece il 154% in più dell'Ici ai titolari di centri commerciali e capannoni industriali. Le differenze non dipendono però da una strategia comunale, che al momento si limita solo a chiedere a tutti l'aliquota massima del 10,6 per mille: a graduare gli aumenti è la normativa nazionale, che con i nuovi moltiplicatori da applicare alla rendita catastale gonfia del 20% la base imponibile di centri commerciali e capannoni, del 60% quella degli uffici e del 62% quella dei negozi. Il resto arriva dalle nuove aliquote nazionali e, naturalmente, dalle "aggiunte" comunali. Al secondo posto nella graduatoria dei rincari arrivano Cagliari e Torino, città in cui i problemi di bilancio hanno spinto al rialzo anche le aliquote sull'abitazione principale, mantenuta invece al 4 per mille a Milano.
A tradurre le percentuali in euro, però, sono i valori catastali delle città, e in questo caso la classifica cambia. Tutti gli esempi in tabella sono fondati su immobili identici, della classe catastale media di ogni categorie, situati in zone fra loro comparabili (negozi e uffici in centro, capannoni e centri commerciali in periferia). Lo stesso negozio che a Milano paga 722 euro all'anno, però, deve versarne quasi il doppio a Bologna e Firenze e quasi il triplo a Roma, anche se l'aliquota non cambia (è il massimo in tutti e tre i casi). Ad allineare queste differenze ai valori di mercato dovrebbe pensarci la delega fiscale, che potrebbe arrivare al prossimo consiglio dei ministri: dall'approvazione all'attuazione, però, il cammino è incerto quanto lungo. Non tutto il super-aumento, comunque, si farà sentire al primo appuntamento alla cassa: l'acconto si pagherà ad aliquota standard, con incrementi medi del 90% per negozi e uffici e del 42% per capannoni e centri commerciali: il resto arriverà appena prima di Natale, con il saldo da versare entro il 17 dicembre.
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