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Omicidio stradale, ecco i paradossi del disegno di legge

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l’analisi

Omicidio stradale, ecco i paradossi del disegno di legge

Sanzioni draconiane o ancora troppo lasche? All'indomani dell'ok all'omicidio stradale da parte della Camera (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), questo è l'interrogativo che resta confrontando alcune parti del disegno di legge (che ora attende solo l'ultimo sì del Senato) con la maggioranza delle reazioni delle associazioni impegnate sul campo della sicurezza stradale. Infatti, nelle intenzioni iniziali e nell'immaginario collettivo la nuova normativa dovrebbe colpire i pirati della strada, ma rischia di far finire in carcere anche persone “normali” che commettono un errore. Ma molte associazioni hanno chiesto una severità ancora maggiore.

Tutti concordano sul fatto che le pene previste per i casi gravi (quelli in cui sono state violate norme del Codice della strada che il Ddl individua come importanti) sono giustamente pesanti: la graduazione è molto varia, ma comunque in prima battuta si può andare dai cinque ai 18 anni di reclusione. Dunque, non c'è il rischio di rientrare nel limite dei due anni, entro il quale scatta la sospensione condizionale della pena, che finora ha evitato il carcere alla maggioranza dei responsabili di incidenti mortali. Al massimo, ci si avvicina (due anni e mezzo) col dimezzamento cui si può arrivare quando c'è concorso di colpa da parte della vittima.

Il rischio resta per quelli causati da tutte le altre violazioni (anche lievissime) del Codice della strada, perché qui le pene restano invariate rispetto all'attuale omicidio colposo, pur aggravato dal fatto di essere provocato da un'infrazione stradale (articolo 590, comma 2 del Codice penale): da due a sette anni.

Il problema è comunque un altro, che tra le infrazioni ritenute gravi ne sono state incluse alcune che non sempre lo sono: quelle su velocità e striscia continua risentono a volte della volontà dei gestori della strada di scaricarsi da responsabilità su carenze di progettazione, costruzione e manutenzioni. Inoltre, a volte capita di superare con striscia continua mezzi lentissimi senza con ciò creare pericoli gravi.

Viceversa, a volte possono essere troppo miti le pene per l'altro reato introdotto dal Ddl, quello di lesioni personali stradali: il minimo è di soli tre mesi, anche se nei casi delle infrazioni più gravi si può arrivare anche a sette anni. Ma, come fa notare l'Aifvs (Associazione italiana familiari vittime della strada), con un'infrazione lieve (che comporta una pena di un anno al massimo) si potrebbe ridurre in coma vegetativo una persona.

Certo, per bilanciare tutti i paradossi c'è la discrezionalità del giudice, cui spetta decidere la pena entro il minimo e il massimo previsto dalla legge e riconoscere attenuanti e aggravanti. Ma l'Aifvs ritiene che, quando c'è concorso di colpa della vittima, la discrezionalità sia troppo limitata.

In ogni caso, per giudicare correttamente occorre avere elementi certi, che vengono da rilevazioni complete e inappuntabili da parte delle forze dell'ordine, su cui poi si basino perizie serie. Tutte cose che troppo spesso l'Italia non può permettersi, essendo normalmente riservate agli omicidi volontari che più impressionano. Anche per queste carenze investigative appaiono eccessive le richieste delle associazioni su un ulteriore allargamento dell'omicidio stradale ai casi in cui si guida maneggiando un telefonino: l'accertamento di un'infrazione del genere, se risulta che a bordo c'erano più persone, è aleatorio.

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