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Omicidio stradale, in vigore la legge

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pubblicato Sulla Gazzetta ufficiale

Omicidio stradale, in vigore la legge

(Ansa)
(Ansa)

È stata pubblicata ieri sulla Gazzetta ufficiale n.70 la legge 23 marzo 2016 n. 41, quella sul cosiddetto omicidio stradale che ha, tra i suoi punti principali, il carcere da 8 a 12 anni, 18 nei casi più gravi, l'arresto in flagranza obbligatorio, i prelievi coattivi per stabilire se il guidatore è sotto effetto di alcol o droga. Le novità della legge sull'omicidio stradale toccano non solo i pirati della strada, ma possono riguardare anche chi commette infrazioni diffuse, la cui gravità sarebbe da valutare caso per caso: le nuove sanzioni possono scattare, per esempio, anche per chi sorpassa con la striscia continua o dove ci sono le strisce pedonali. Di qui la necessità di garantire almeno indagini serie e strisce ben visibili. Cose finora estranee al sistema italiano.

Il punto sta proprio nelle indagini: per buona parte della magistratura e delle forze dell'ordine, un incidente stradale mortale non è qualificante come un omicidio di malavita. Dunque spesso lo si tratta come lo si è sempre trattato: con sufficienza burocratica. Un atteggiamento che nasce non solo dalla cultura, ma anche dalla consapevolezza che tanto, alla fine, il colpevole avrà sì molti grattacapi, ma comunque ben difficilmente finirà in carcere. Con la nuova legge no: la galera si rischia davvero (peraltro proprio in un periodo in cui lo Stato le celle vuole soprattutto svuotarle, a suon di depenalizzazioni). E, per evitarla, gli imputati che possono permetterselo metteranno in campo i migliori professionisti; chi non può, peggio per lui.

L'unico antidoto sta proprio nella serietà delle indagini. Che passa innanzitutto dalla preparazione degli agenti che effettuano i rilievi sul luogo dell'incidente. Ma il corpo con maggiore specializzazione, la Polizia stradale, ha ormai un organico tanto risicato da poter intervenire in una minoranza di casi; gli altri fanno quel che possono e non mancano situazioni in cui non hanno a disposizione nemmeno le rotelle metriche per prendere le misure.

Durante le indagini, poi, intervengono i periti. D'ufficio o di parte. E qui non esiste un sistema incontestabile per stabilire se un professionista è davvero all'altezza. Senza contare che nell'albo dei consulenti tecnici d'ufficio ci sono periti esperti di infortunistica stradale o di balistica, nominati più o meno indifferentemente per sparatorie e incidenti stradali.

Quanto ai magistrati, questioni culturali a parte, va rilevato che spesso i carichi di lavoro non consentono loro di affrontare al meglio indagini e processi sugli incidenti stradali. Tanto che, quando vengono arrestati malviventi che hanno commesso vari reati di cui alcuni connessi alla guida, capita che per questi ultimi si scelga, di fatto, di non procedere.

In sostanza, l'Italia rischia di non potersi permettere un sistema così severo come quello disegnato dalla legge sull'omicidio stradale. Un'impressione rafforzata dal fatto che le pene aggravate sono previste anche per infrazioni certamente gravi, ma che a volte vengono commesse “per sottovalutazione” (le attuali norme di costruzione delle strade e la volontà di cautelarsi da parte dei gestori delle strade hanno fatto proliferare le strisce continue al limite della ragionevolezza) o addirittura senza accorgersene (test qualificati denunciano da anni - tra le tante cose - che molti attraversamenti pedonali sono poco visibili, per carenze di manutenzione o addirittura di progettazione).

Dunque, spinti dall'urgenza di dare finalmente una risposta a delitti diffusi e tragici come quelli commessi da guidatori altamente pericolosi, si va verso un sistema che colpevolizza sempre più anche utenti fondamentalmente “normali” senza contemporaneamente responsabilizzare anche poliziotti, magistrati, periti, gestori di strade e - perché no? - costruttori di veicoli. Cioè tutti gli altri attori da cui dipende la sicurezza stradale.

Senza contare che l'aumento della posta in gioco spingerà più di un imputato a chiedere ai giudici di sollevare questione di legittimità costituzionale della nuova legge. Come notò il Servizio studi della Camera, potrebbe contare la disparità che la norma crea tra gli incidenti stradali e quelli sul lavoro. Se la Consulta dovesse dare seguire questa tesi, si creerebbe un enorme problema di gestione dei processi.

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