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Pensioni, anticipo con penalizzazioni graduate

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L'Analisi|scenario

Pensioni, anticipo con penalizzazioni graduate

Una penalizzazione graduata a seconda del reddito per chi decide di anticipare il pensionamento di tre anni rispetto ai requisiti di legge. Con un finanziamento pubblico selettivo, sulla maggiore spesa che si determina, per i lavoratori potenzialmente beneficiari dell’anticipo ma che si trovino in condizioni di disoccupazione. Mentre negli altri casi il finanziamento-ponte potrebbe essere sostenuto dal sistema del credito, che poi rientrerebbe grazie ai mini-rimborsi dell’Inps con le trattenute sulla pensione finale. Infine, per i prepensionamenti invocati dalle imprese per ristrutturazione o che vogliano effettuare un ricambio del personale, l’anticipo sarebbe finanziato dagli stessi datori di lavoro, con una garanzia sul rischio morte del beneficiario a carico dello Stato.

Lo schema dell’intervento cui stanno lavorando i tecnici del Governo coordinati dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, prende sempre più forma e sembra essere arrivato a un primo punto fermo. L’anticipo sarà, appunto, con penalizzazione “non secche” ma calibrate sul reddito, con un “taglio” un pò più forte per chi sceglie di ritirarsi prima (il caso tipico della “nonna dipendente pubblica” che vuole accudire i nipoti evocata dal premier tempo fa). È del resto l’ipotesi che si legge con altre parole nella risoluzione al Def votata ieri, dove si fa riferimento a “penalizzazioni ragionevoli” per la flessibilità sull’età di accesso alla pensione. La limatura, un tot percentuale fisso per ogni anno di anticipo sul requisito normale, si dovrebbe applicare solo sulla parte retributiva del montante, visto che la quota contributiva prevede in sè una penalizzazione in caso di ritiro prima della maturazione piena del diritto alla pensione. Nuovi dettagli sul profilo dell’intervento previdenziale, che vedrà la luce in autunno con la legge di Bilancio, sono arrivati dallo stesso Nannicini in un’intervista al «Messaggero». Le opzioni al vaglio restano diverse e il piano è di «non semplice attuazione» ha ribadito il sottosegretario, che ha poi rinviato alla fine della legislatura (2018) un intervento di rafforzamento del potere di acquisto dei pensionati più poveri.

Entro maggio si conoscerà lo schema definitivo, che il Governo è intenzionato a pubblicare con un documento dedicato. E pure l’impatto sui saldi di finanza pubblica sarebbe quasi definito: circa un miliardo, molto meno dunque dei 5-7 miliardi che sarebbero serviti per coprire nei primi anni le altre proposte parlamentari e più vicino, invece, agli 1,4 miliardi necessari per coprire l’avvio dello schema proposto dall’Inps nel documento “Non per cassa ma per equità” dell’anno passato e in cui si immagina un’uscita anticipata per circa 30mila persone l’anno in fase di prima applicazione.

Nelle prossime settimane i tecnici chiuderanno l’istruttoria anche sulla base delle simulazioni sulle potenziali coorti interessate. Dopodiché arriverà la prima comunicazione pubblica sulla scelta adottata. Oltre alla misura-bandiera sulla flessibilità resterebbero da chiudere le misure sulla previdenza integrativa, che dovrebbe essere più utilizzata dai lavoratori giovani, come aveva detto nelle scorse settimane sempre Nannicini. In linea con un’altra indicazione emersa dal dibattito parlamentare sul Def, è possibile poi immaginare un intervento di semplificazione per i pensionamenti a requisiti ridotti per i lavoratori esposti ad attività usurante (sul fondo di dotazione quest’anno c’è una dote di oltre 630 milioni) e ulteriori ritocchi al margine adottabili anche alla luce del monitoraggio sulle ultime misure adottate, in primis l’allungamento dell’”opzione donna” e il part time agevolato sempre per i lavoratori a 36 mesi dal requisito per il pensionamento. La flessibilità in uscita targata Renzi-Nannicini dovrebbe scongiurare anche l’ottava salvaguardia per gli “esodati” invocata da 24mila ex lavoratori. Ma la partita è solo all’inizio per dire come andrà a finire.

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