Il costo complessivo dell’Ape (anticipo pensionistico) a carico dei lavoratori che sceglieranno questa opzione potrebbe essere più elevato della semplice riduzione percentuale sulla quota retributiva dell’assegno. Infatti per calcolare l’importo effettivo della pensione si deve tener conto anche della quota contributiva e, oltre a ciò, non va dimenticato che i pensionati dovranno restituire il prestito con cui verrà finanziato l’anticipo del trattamento previdenziale.
Il condizionale è d’obbligo, perché dell’Ape finora sono state fornite solo indicazioni di massima, che peraltro potranno cambiare nella versione definitiva.
Innanzitutto i nati tra il 1951 e il 1953 che decideranno di anticipare il ritiro dal lavoro dovranno fare i conti con un taglio medio della quota retributiva della pensione del 3-4% per ogni anno di anticipo rispetto al requisito minimo di età per la pensione di vecchiaia. Tale valore potrà scendere all’1% per gli assegni di importo minore o per persone disoccupate da tempo o salire fino al 6-7% per gli importi più elevati.
A questo taglio si potrebbe aggiungere quello specifico sulla parte contributiva se, per convertire il montante accumulato nell’assegno mensile, non si userà il coefficiente previsto per l’età minima di accesso alla pensione di vecchiaia, ma quello, più penalizzante, dell’età effettiva di ritiro dal lavoro. In uno dei due esempi a fianco si è simulata la pensione di un lavoratore che raggiungerebbe il diritto alla “vecchiaia” a fine 2018, con decorrenza della prestazione dal 1° gennaio 2019. Poi si è provveduto a calcolare la pensione alla data di accesso con l’Ape, ipotizzata al 31 marzo 2017. La quota retributiva è penalizzata in funzione del numero di anni di anticipo, a cui va aggiunto l’effetto della quota contributiva. A fronte di una penalizzazione del 10,5% sulla quota retributiva, il taglio totale effettivo sarebbe del 12,1 per cento. A meno che il governo scelga un taglio omogeneo per la parte contributiva e retributiva e in tal caso il risultato finale sarebbe -10,5 per cento.
“L’importo erogato in anticipo sarà finanziato con prestiti bancari per non pesare sul bilancio pubblico”
L’importo erogato nei mesi di anticipo rispetto alla data prevista per la vecchiaia, però, verrà alimentato da un prestito bancario per non pesare sul bilancio pubblico. Prestito che il lavoratore dovrà restituire a rate una volta raggiunta l’età minima della pensione di vecchiaia, accollandosi la parte del capitale, mentre lo Stato dovrebbe coprire la quota interessi. Secondo calcoli effettuati dalla Uil, l’impatto di questo prestito potrebbe oscillare, in base agli anni di anticipo e all’importo della pensione, tra il 5 e il 18% di quest’ultima.
Quindi, complessivamente, l’Ape comporterà un doppio taglio: una pensione ridimensionata e un prestito da rimborsare.
L’anticipo pensionistico, comunque, non è l’unica opzione su cui sta lavorando il governo. Tra le soluzioni sul tavolo c’è una revisione dei requisiti già ora agevolati per i lavoratori impiegati in attività usuranti, ma anche la possibilità di riscattare in modo meno oneroso gli anni di università, versando un importo “libero” e non commisurato allo stipendio attuale (con conseguente impatto negativo sull’assegno pensionistico). Ancora aperta, inoltre, la pratica “opzione donna”, riservata alle lavoratrici che alla fine del 2015 hanno maturato 57 anni e 3 mesi di età (un anno in più per le autonome) con almeno 35 anni di contributi, la cui proroga per quest’anno è soggetta alla verifica di minori spese effettive rispetto a quelle preventivate per le pensioni liquidate alle donne che hanno raggiunto i requisiti l’anno scorso.
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