La garanzia costituzionale che consente il sequestro di stampati solo nelle ipotesi di pubblicazioni oscene, apologia di fascismo e nei casi più gravi di plagio si applica al giornale online quando quest’ultimo ha i caratteri del periodico cartaceo, ovvero una testata, un direttore responsabile, una redazione e un editore. Di conseguenza, nelle ipotesi di diffamazione, il giornale telematico non può essere oggetto di misure preventive che ne impediscano o anche solo limitino (attraverso per esempio la deindicizzazione dai motori di ricerca) la diffusione, fatte salve le misure a tutela della privacy.
Questo è il principio che ha stabilito la Corte di cassazione civile a Sezioni unite, con la sentenza n. 23469, depositata il 18 novembre 2016.
Non si tratta di un principio del tutto inedito: la Corte, infatti, nel limitare il ricorso a misure cautelari di natura civilistica, riprende il “nocciolo” di quanto già affermato dalle Sezioni unite in sede penale che, con sentenza n. 31022 del 2015, avevano analogamente esteso la garanzia costituzionale prevista dell’articolo 21 comma 3 alle sole testate online.
La recente pronuncia, tuttavia, contiene alcuni passaggi che meritano di essere sottolineati. Anzitutto vi sono prese di posizione decise e in controtendenza rispetto a una certa qual “paura della rete” che genera da più parti l’invocazione di strumenti preventivi per arginare l’incontrollata propagazione di contenuti illeciti. La Corte evidenzia come limitare in via cautelare la diffusione del web equivale a «sterilizzare» la rete e a «svuotarne di contenuto le potenzialità». E rileva altresì che «non si può trattare in via interpretativa in modo deteriore rispetto al passato la libertà di stampa solo perché è diventato tecnicamente più facile avvalersene». Internet viene ricondotto a uno degli strumenti classici di manifestazione del pensiero, circostanza che induce i giudici a estendere ad esso le garanzie previste dall’ordinamento per difendere la libertà. E ciò in quanto nel nostro sistema la libertà viene tutelata garantendo il mezzo con cui essa viene esercitata.
Tornando al ragionamento che sorregge il principio menzionato, e cercando di evidenziarne gli snodi tecnici che hanno portato a un simile risultato, va detto che quest’ultima sentenza sembra avere “estremizzato” alcuni approdi delle Sezioni unite penali. Secondo la decisione più recente, internet è riconducibile alla nozione di stampa di cui all’articolo 1 della legge n. 47 del 1948, anche perché alla riproduzione tipografica può essere senza dubbio equiparata la diffusione in rete. Ciò determina la possibilità di una applicazione diretta dell’articolo 21 Costituzione, senza bisogno di interpretazioni analogiche in bonam partem o evolutive.
La Corte, al di là di quanto sia condivisile nel merito tale affermazione (e lo è forse poco), per rispondere al ricorso presentato ben avrebbe potuto fermarsi qui, estendendo semplicemente le garanzie previste appunto per gli stampati alla rete. Così, la tutela prevista dall’articolo 21, che riguarda tutti gli stampati - giornali, libri o volantini, a prescindere dal loro contenuto informativo - si sarebbe applicata anche al materiale diffuso in rete con una testata registrata o un blog, un social network o in qualunque altra forma che abbia le caratteristiche dello stampato (ad esempio il nome dell’autore e il momento di inserimento in rete).
I Supremi giudici, invece, compiono un passo ulteriore, che tuttavia pare scivolare in una contraddizione. Essi sostengono, in modo che pare francamente poco corretto, che l’articolo 21, in particolare il comma 4, assoggetta la stampa periodica a ulteriori garanzie procedurali. Al contrario, tale norma, nel consentire che solo i periodici possano essere posti sotto sequestro da ufficiali di polizia giudiziaria anche prima del provvedimento del giudice, prevede evidentemente un regime deteriore e meno garantista proprio per questo particolare tipo di stampati.
Inoltre, sempre la Corte, sembra introdurre nell’interpretazione dell’articolo 21 comma 3 un «concetto funzionale di stampa, finalizzata alla divulgazione professionale dell’informazione». In tal modo la portata garantista del principio viene evidentemente ristretta, poiché da essa verrebbero esclusi quegli stampati che sono estranei ai media tradizionali.
Il particolare tenore del provvedimento e l’autorevolezza della fonte lasciano altre domande aperte. La prima e più importante è questa: se internet è stampa, alla rete sono applicabili tutte le disposizioni incriminatrici e le aggravanti previste dal legislatore alla stampa? In altri termini, il direttore di un periodico telematico è responsabile in modo identico al quello di un periodico cartaceo? Chi diffonde un giornale online senza prima registrarlo commette il reato di stampa clandestina? Nel caso di condanna per diffamazione con attribuzione di un fatto determinato, si applicano alla rete le pene assai severe previste per la stampa, ovvero la reclusione da uno a sei anni e la multa? Ciò determinerebbe un deciso revirement nella giurisprudenza, che sinora ha sempre ritenuto internet diverso dalla stampa e dunque inapplicabili i reati previsti per la seconda anche ai giornali telematici “professionali”, in forza del divieto di analogia in malam partem nel diritto penale.
Oppure il ragionamento della Corte riguarda soltanto l’istituto peculiare del sequestro e quindi resta la regola, del tutto condivisibile, dell’inapplicabilità al web delle incriminazioni previste per la stampa?
Insomma: un principio garantista male argomentato rischia di produrre reazioni a catena che forse nemmeno i Supremi giudici hanno immaginato.
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