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Regime per cassa, un’occasione persa

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FISCO DìIMPRESA

Regime per cassa, un’occasione persa

La legge di Bilancio 2017 interviene sull’articolo 66 del Tuir e sulle imprese minori, elevando, per questi soggetti, quello di cassa a criterio generale di imputazione a periodo per quanto riguarda i componenti positivi e negativi di reddito.

La strada intrapresa sembra quella giusta ma, come spesso si dice, il diavolo è nei dettagli. In primo luogo, va detto che il criterio di cassa si rende applicabile esclusivamente con riferimento alle disposizioni del Tuir concernenti i ricavi ex articolo 85, i dividendi e gli interessi all’articolo 89 nonché le spese sostenute nell’esercizio d’impresa.

Un po’ di confusione, invece, rimane per gli ulteriori elementi positivi e negativi di reddito quali, ad esempio, le plusvalenze e le minusvalenze. Per tali componenti il criterio della competenza, infatti, dovrebbe continuare a trovare applicazione; e ciò malgrado nel testo modificato dell’articolo 66, comma 3, del Tuir, siano stati soppressi i richiami ai commi 1 e 2 del successivo articolo 109. Il buon senso porterebbe a ritenere applicabile il criterio della competenza. Ma il buon senso, si sa, non sempre guida le scelte di un legislatore tributario che si è mostrato, ancora una volta, troppo sbrigativo.

La revisione dell’articolo 66 del Tuir poteva invece rappresentare l’occasione per correggere un’anomalia presente nel testo della norma, anche nella sua versione attuale. Infatti, la rilevanza delle plusvalenze, per le imprese minori, è prevista solo nel caso di componenti “realizzate”. Il che porterebbe a ritenere che, in tale ambito, sono imponibili/deducibili unicamente le plusvalenze/minusvalenze collegate a cessioni a titolo oneroso ovvero mediante risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni. L’articolo 86 del Tuir, infatti, collega il termine «realizzato» unicamente a tali due situazioni, non estendendone la portata anche al caso della assegnazione ai soci e alle finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Si potrebbe quindi sostenere che tale ultima fattispecie, non configurando un’ipotesi realizzativa e non trovando una propria specifica disciplina nella norma in esame, non sia idonea a generare materia imponibile/deducibile.

In ultimo, non si può che osservare la sostanziale assenza di norme di reale semplificazione operativa e procedurale. Anzi, dal nuovo sistema di disposizioni, sembrano emergere quasi degli aggravi, dovendo il contribuente effettuare, oltre alle registrazioni Iva, anche quelle relative agli incassi realizzati.

Insomma, un intervento poco ragionato e molto pasticciato. Anche questa volta la speranza è che l’amministrazione finanziaria faccia gli straordinari e piazzi la solita “pezza” interpretativa.

Più in generale, però, la riscrittura dell’articolo 66 sembra la più classica delle occasioni mancate. L’intervento normativo manca, infatti, di quella ambizione riformatrice che pure era lecito attendersi. Non è infatti ravvisabile alcuna reale ridefinizione dei meccanismi del prelievo rispetto al passato per soggetti economici che rappresentano la maggior parte del sistema produttivo italiano. Erano maturi i tempi di un intervento più sistematico e di prospettiva, che consentisse una reale ridefinizione dei meccanismi impositivi. L’obiettivo doveva essere più ambizioso, consistendo nella ricerca di un nuovo e più moderno equilibrio tra la necessaria rappresentazione documentale del risultato d’esercizio e le più che ragionevoli istanze di semplificazione che caratterizzano le imprese minori. È vero che da molto tempo ci si attendeva un intervento sulle imprese minori. Ma è anche vero che, a volte, andare di fretta, aumenta il rischio di arrivare in ritardo.

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