Le pene precedenti all’entrata in vigore (25 marzo 2016) dell’omicidio stradale consentivano di irrogare sanzioni adeguate alla gravità dei fatti e alla successiva condotta di vita del suo autore. Con buona pace di chi ha invocato norme più severe, lamentando impunità diffusa causata da pene troppo basse ed eccessiva discrezionalità dei giudici.
Questa è la riflessione che stimola una recente ordinanza (7 febbraio 2017), pronunciata dal giudice per l’udienza preliminare di Genova, Cinzia Perroni, nell’ambito di un processo per un incidente mortale del gennaio 2016: come da richiesta dell’avvocato di parte civile, Giuseppe Maria Gallo, è stata respinta la richiesta di patteggiamento a due anni di reclusione, con pena sospesa e concessione delle attenuanti generiche, avanzata - col parere favorevole della Procura - da un imputato abituale assuntore di alcol e droghe che, guidando con valori molti alti di alcol nel sangue, aveva causato la morte di una persona.
Le pene previste dell’omicidio stradale non sono applicabili ai fatti precedenti al 25 marzo in virtù del favor rei. Ma l’ordinanza genovese è la prova che le vecchie pene – che rimangono applicabili agli incidenti stradali mortali verificatisi ante 25 marzo – non precludevano sanzioni in concreto adeguate alla gravità del reato.
L’articolo 589, comma 3 del Codice penale prevedeva il carcere da tre a 10 anni per chi cagionava la morte di una persona con violazione di norme sulla circolazione stradale e assunzione di alcol e/o droghe. In base a tale premessa, il giudice genovese ha ritenuto che:
la pena base concordata da accusa e difesa non era «congrua all’estrema gravità del fatto»;
non c’erano i presupposti per concedere le attenuanti generiche all’imputato, non essendoci «motivi diversi dalla semplice incensuratezza»;
non poteva essere riconosciuta l’attenuante del risarcimento del danno «in assenza di documentazione che lo comprovi».
Ma è alla valutazione delle condotta di vita dell’imputato successiva all’incidente mortale che il giudice dedica maggiore analisi critica, spiegando efficacemente le ragioni del no alla sospensione condizionale della pena. Non sono infatti emerse «sufficienti garanzie che l’imputato si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati». Ciò in quanto «è soggetto dedito all’assunzione smodata di alcolici e di sostanze stupefacenti» e non è risultato che «abbia intrapreso un percorso di riabilitazione tale per cui possa escludersi il rischio di reiterazione di comportamenti analoghi», nonostante «precedenti di polizia per manifesta ubriachezza, detenzione di sostanze stupefacenti e furto aggravato ed essere stato contravvenzionato moltissime volte per violazioni al Codice della strada».
Le vecchie norme potevano dunque offrire un’adeguata risposta a un fenomeno di grave allarme sociale come le morti su strada, lasciando però al giudice la necessaria discrezionalità per calibrare la pena in modo proporzionato alla gravità del reato e alla condotta successiva dell’imputato. Come prevede la finalità rieducativa che la Costituzione attribuisce alla pena.
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