Le istruzioni operative per l’applicazione delle norme sull’omicidio stradale emanate in una circolare dal ministero dell’Interno subito dopo l’entrata in vigore della legge 41/2016 non ledono i diritti di Anas. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato (Prima sezione) lo scorso 7 marzo, con un parere (il n. 567/2017) che dichiara inammissibile il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica presentato proprio dall’Anas.
Anas aveva paventato l’illegittimità di un punto specifico della circolare: quello dove il ministero ritiene applicabile la fattispecie “base” di omicidio stradale – cioè quella prevista dall’articolo 589-bis, comma 1, del Codice penale – a «chiunque viola le norme che disciplinano la circolazione stradale, che sono costituite da quelle del Codice della strada e delle relative disposizione complementari», anche se «non è un conducente di veicolo». Questo in base al fatto che «le norme del Codice della strada disciplinano anche comportamenti posti a tutela della sicurezza stradale relativi alla manutenzione e costruzione delle strade e dei veicoli».
A giudizio di Anas, il reato di omicidio stradale “semplice” dovrebbe applicarsi esclusivamente ai conducenti degli autoveicoli e non anche ai responsabili e agli addetti alla sicurezza e alla manutenzione della strada. La diversa interpretazione proposta dal ministero, secondo Anas, «realizzerebbe un pregiudizio diretto, grave e sostanziale» a carico «dell’ente gestore della rete stradale di interesse nazionale non a pedaggio» e dei propri dipendenti, che sono deputati «allo svolgimento dell’attività di gestione e manutenzione delle strade». Nel contempo, la circolare precluderebbe «l’interesse pubblico ad una corretta interpretazione delle norme del Codice penale».
Secondo il Consiglio di Stato, la circolare è «un atto interno finalizzato ad indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi» ed è «privo di effetti esterni»: come tale, contiene «l’interpretazione di una norme di legge la cui applicazione non è rimessa all’autorità che ha emanato la circolare, bensì all’autorità giudiziaria penale, cui spetterà il compito di chiarire se il legislatore al primo comma dell’articolo 589-bis del Codice penale ha inteso costruire la fattispecie come ipotesi di reato comune (come emerge chiaramente dall’uso del «chiunque» nel descrivere il comportamento illecito da punire) contrapponendola a quella prevista dal secondo comma come fattispecie di reato proprio incentrata sul conducente del veicolo».
Ma non è solo il giudice penale a non subire alcun vincolo dalle istruzioni operative emanate del ministero. Il Consiglio di Stato, infatti, conclude spiegando che dalla natura “interpretativa” della circolare discende che questa non ha «efficacia vincolante nei confronti degli organi periferici» dell’amministrazione, che possono «disattenderne l’interpretazione senza che ciò comporti l’illegittimità dei loro atti per violazione di legge».
L’esito del ricorso proposto da Anas appare condivisibile. Non solo per la natura interpretativa della circolare – come ben chiarito dal Consiglio di Stato – ma anche per l’esplicita previsione della fattispecie incriminatrice prevista dall’articolo 589-bis, comma 1, del Codice penale. Essa usa il lemma «chiunque» proprio per operare una distinzione rispetto alle ipotesi aggravate di omicidio stradale, che possono essere commesse solamente da conducenti di «veicoli a motore».
Peraltro, la più recente giurisprudenza della Cassazione penale (sentenza n. 3290 del 23 gennaio 2017) ha ricordato che l’articolo 14 del Codice della strada - a mente del quale «gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: i) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo nonché delle attrezzature, impianti e servizi: ii) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze» – genera un obbligo di sorveglianza su di una fonte di pericolo che «impone di per sé l’intervento volto a eliminare quest’ultimo o, ove non possibile una soluzione radicale, almeno a ridurlo, senza alcun rilievo del carattere occulto o meno di tale pericolo, ferma restando l’ipotizzabilità di un concorso dell’utente della strada ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente».
Una pronuncia in linea con quanto pareva già assodato quando l’attuale reato di omicidio stradale “semplice” era rubricato come omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale.
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