Il conto da saldare con il Fisco italiano si aggirerà intorno ai 300 milioni di euro. Sarà questo il prezzo che Google dovrà pagare all’agenzia delle Entrate per sanare un contenzioso fiscale scaturito da imposte non versate su un giro d’affari di circa un miliardo di euro tra il 2009 e il 2013. Dopo più di un anno di trattative e di ripetuti annunci (puntualmente smentiti), oggi è attesa la firma dell’accertamento con adesione che sancirà la pace tra il colosso del web e lo Stato italiano. Un prezzo da pagare, in fondo, non esagerato per una multinazionale che solo nel primo trimestre dell’anno ha registrato un giro d’affari globale di 24,7 miliardi di dollari e 5,4 miliardi di utili. L’accordo – grazie alle indagini della guardia di Finanza di Milano – dovrebbe concludersi con il riconoscimento della stabile organizzazione in Italia da parte di Google, una condizione che consentirà al Fisco di incassare regolarmente le imposte dovute nei prossimi anni. E questo non è poco.
Il 30 dicembre 2015 l’accordo fiscale che con 318 milioni di euro chiuse il contenzioso tra il Fisco e la Apple fu seguito da polemiche sull’entità, ritenuta da alcuni esigua, della cifra che la multinazionale di Cupertino aveva accettato di pagare a fronte di un’evasione stimata in 897 milioni di euro tra il 2008 e il 2014. Tanto o poco che fosse quella cifra, l’accordo aveva consentito di regolarizzare la situazione di Apple in Italia (avviando anche i colloqui per la definizione di un tax ruling per gli anni seguenti) e aveva soprattutto rappresentato un precedente, fortemente voluto dall’attuale capo della Procura di Milano, Francesco Greco, che su tre manager della Apple aveva avviato un’indagine penale. Quello su Apple fu un accordo apripista per l’Italia e per l’Unione europea.
Un anno e mezzo dopo ecco l’intesa con Google. Anche questa volta sullo sfondo, ma non tanto, c’è un’inchiesta penale della procura di Milano. Sotto indagine ci sono cinque dirigenti della società accusati di dichiarazione fraudolenta. Seguendo il copione del “caso Apple”, le trattative si sono svolte per più di un anno muovendosi ripetutamente tra l’agenzia delle Entrate, gli uffici della procura milanese e gli avvocati di Google. Una triangolazione complessa perché estremamente difficile (e nuova) è la materia della regolamentazione fiscale internazionale delle web company. Il «Double Irish with a Dutch Sandwich», così si chiama l’architettura societaria messa in piedi da Google lungo l’asse Irlanda-Olanda-Bermuda, sfrutta gli arbitraggi fiscali tra i diversi paesi, termina in un paradiso fiscale che non prevede il pagamento di tasse sulle società e si muove su un tracciato difficile da aggredire per le autorità fiscali dei paesi europei. Dunque un accordo che sani il passato e rimetta in riga le società per il futuro potrà apparire iniquo (e in linea di massima lo è) per chi le tasse è costretto a pagarle fino all’ultimo centesimo ma è forse l’unica strada che si può realisticamente perseguire.
Lo scorso anno il governo britannico di David Cameron aveva accettato 130 milioni di sterline dal motore di ricerca di Mountain View per chiudere il contenzioso fiscale nel Regno Unito. Anche in quel caso erano fioccate le polemiche perché secondo alcune stime negli ultimi dieci anni Google aveva incamerato complessivamente profitti per 7,2 miliardi di sterline. Ora, dopo la chiusura del fronte italiano, la multinazionale del web ha ancora aperti contenziosi in Francia e in Spagna.
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