Venerdì scorso la Corte di cassazione ha stabilito che le analisi del sangue effettuate al pronto soccorso al solo scopo di accertare il reato di guida in stato di ebbrezza richiedono il consenso dell’interessato (sentenza 21885/2017). Sembra l’ultimo tassello, in senso garantista, di un mosaico che si è chiarito con altre recenti pronunce non altrettanto favorevoli al guidatore.
La sentenza 21885 riguarda una situazione finora poco analizzata: quelle in cui, dopo un incidente, l’interessato viene portato al pronto soccorso, dove viene solo visitato e non sottoposto a particolari accertamenti strumentali per verificare le sue condizioni né gli è prestata alcuna cura. Per la Cassazione, la sola presenza del conducente al pronto soccorso non lo fa rientrare tra i soggetti
«sottoposti a cure mediche» sui quali l’articolo 186, comma 5, del Codice della strada consente il prelievo per accertare lo stato di ebbrezza a prescindere dal loro consenso al test (di solito necessario perché c’è atto invasivo).
Altro caso in cui si prescinde dal consenso è quello di omicidio o lesioni personali stradali, introdotto dalla legge 41/2016 e interpretato in questo senso da molte Procure.
Il principio
Per il resto, ci sono i precedenti delle corti di merito e la prassi sempre più frequente dei sanitari di prelevare campioni ematici perché richiesti dalla polizia giudiziaria e non per finalità mediche o terapeutiche. Così la Cassazione boccia l’uso strumentale delle analisi in caso di sinistro. Il principio è chiaro: l’articolo 186, comma 5, non può essere esteso analogicamente e prevede quale condizione imprescindibile che vi siano esigenze di cura. In caso contrario i risultati saranno inutilizzabili (sentenza 6 aprile 2017, numero 21885).
La procedura corretta se non ci sono esigenze di cura sarà allora informare l’interessato della volontà della polizia giudiziaria di effettuare il prelievo e della facoltà di essere assistiti dal difensore. Un rifiuto non potrà portare al prelievo coatto (salvo ci sia omicidio o lesioni stradali) ma al reato di rifiuto di sottoporsi all’alcoltest (articolo 186, comma 7). Non serve a salvare dall’imputazione prestare il consenso e poi fuggire. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza del 28 aprile numero 20320 su un conducente coinvolto in un sinistro dato il consenso ai prelievi ematici e tossicologici facendosi accompagnare al pronto soccorso, dal quale si era allontanato prima della visita dei medici. Per i giudici la fuga equivale al rifiuto ed è quindi penalmente sanzionata. E, ponendosi il problema di quanto sia ammissibile che un reato sia configurato dall’esercizio di un diritto (quello di non farsi praticare un atto invasivo), la Cassazione ritiene non ci sia incostituzionalità: il diritto va bilanciato con l’interesse pubblico ad accertare il reato. In questa situazione si inserisce l’eccezione di costituzionalità sollevata dal Tribunale civile di Genova il 30 marzo sull’articolo 120 del Codice della strada che prevede la revoca automatica della patente per chi è stato condannato per possesso di sostanze stupefacenti cosiddette leggere, senza tener conto delle esigenze personali e lavorative del guidatore. L’imputato aveva patteggiato la pena e il giudice aveva sospeso ma non revocato la patente. Di diverso avviso la Prefettura, cui era stata trasmessa la sentenza di patteggiamento: aveva disposto la revoca.
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