Il dibattito sulla riforma della normativa per i giochi d’azzardo ha assunto in queste settimane toni spesso accesi e animati da pregiudizi e luoghi comuni che finiscono per mettere in ombra le legittime preoccupazioni di coloro che sono direttamente o indirettamente colpiti dalla piaga della ludopatia. La legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 936), recependo la raccomandazione della Commissione Ue del 2014 sulla protezione dei consumatori e dei giocatori e dei minori ha disposto che, in sede di conferenza unificata, siano definite le caratteristiche dei punti vendita ove si raccoglie gioco pubblico e criteri per la riduzione, distribuzione e concentrazione territoriale dei punti vendita stessi.
Le proposte maturate in questo contesto e nel rush in corso sull’attuale manovra correttiva vanno dalla riduzione dell’offerta di gioco (sia dei volumi che dei punti vendita), dall’innalzamento del livello qualitativo dei punti gioco e loro operatori, alla definizione di regole in materia di distanze, orari e di controlli sino a un ventaglio di azioni preventive (riconoscimento mediante la tessera sanitaria dei ludopatici e pubblicità).
La questione è particolarmente delicata per almeno quattro motivi: il primo è la sensibilità dell’opinione pubblica in particolare all’abuso del gioco d’azzardo e dunque l’approdo alle sue forme patologiche; il secondo concerne la rilevanza del comparto produttivo del gioco d’azzardo, che si aggira su un non trascurabile 1’14% del Pil; il terzo è la consistenza del gettito a beneficio dello Stato (gettito fiscale e introiti diretti sui giochi promossi); il quarto è rappresentato dalle derive proibizioniste di alcune amministrazioni regionali e locali.
In questo contesto l’11 maggio scorso la fondazione Bruno Visentini ha presentato nella sede Luiss il primo rapporto sulla percezione sociale del gioco d’azzardo in Italia, frutto della collaborazione con l’università Carlos III di Madrid (che da anni realizza un rapporto analogo in Spagna) e Ipsos. Lo studio si basa sull’esame e l’elaborazione di una serie di dati raccolti da un campione statisticamente rilevante di cittadini e la somministrazione di un questionario a un campione di giocatori online con l’obiettivo di fare chiarezza sul fenomeno del gioco nel nostro Paese. Vediamone i principali risultati. Sul versante della domanda i dati sfatano il luogo comune che individua nei meno qualificati e negli individui a rischio di esclusione sociale i maggiori consumatori. Emerge, infatti, che le percentuali maggiori di giocatori si registrano tra laureati e diplomati appartenenti a uno status sociale medio-alto. Questi ultimi sono proprio quelli che consumano e spendono di più e con più frequenza al gioco. Per contro la fascia dei giocatori “problematici” (pari allo 0,9% degli intervistati) ricomprende gli individui con uno status sociale medio-basso e un’età tra i 45 e i 54 anni.
L’indagine effettuata ci consegna anche il profilo del giocatore online: un giovane uomo tra i 25-34 anni, in possesso un diploma di maturità che predilige le scommesse sportive e utilizza i siti di scommesse per meno di 30 minuti al giorno, frequentando (in taluni casi forse ignaro) per oltre il 40% anche siti di gioco illegale.
Sul versante dell’offerta le lotterie istantanee, o più semplicemente i “Gratta&Vinci”, costituiscono ancora la tipologia di gioco legale, e fisica, più diffusa nel nostro Paese, con oltre 60 consumatori su 100 che vi hanno fatto ricorso. Risalta, per contro, il dato sugli apparecchi da intrattenimento, considerando che appena 2 consumatori su 100 ha dichiarato di aver giocato, anche occasionalmente, alle Newslot o alle Videolottery nel 2016. Queste ultime tuttavia forniscono oltre la metà (secondo i dati del ministero dell’Economia) della raccolta.
Come interpretare ora le menzionate proposte di regolamentazione alla luce di questi dati? In primo luogo appare chiaro come sia poco utile concentrarsi unicamente sulla riduzione dell’offerta che se drastica finirebbe inevitabilmente per incrementare l’offerta illegale. Non solo, se, in un impeto di proibizionismo fossero messi al bando tutti i giochi d’azzardo gli attuali giocatori problematici finirebbero con molta probabilità per diventare consumatori compulsivi di altri servizi e prodotti legali come gli alcolici o il tabacco. Meglio puntare sul miglioramento della qualità dell’offerta (nei punti di gioco), sulle forme di riconoscimento automatico dei giocatori problematici e sulla maggiore comunicazione per responsabilizzare il giocatore verso la frequentazione di piattaforme online illegali. Sul livello della prevenzione, purtroppo, non sono sul tavolo proposte volte a ridurre concretamente il disagio sociale che rende vulnerabili ampie fasce di popolazione e per le quali il gioco d’azzardo è solo una delle tante modalità di fuga dalla realtà.
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