Sono rare e poco trasparenti le controversie tra case automobilistiche e concessionari. Ma, visto che i contrasti fra le parti non mancano affatto, ciò indica solo che occorre pensare ad alternative efficaci rispetto a quelle giudiziali. Così potrebbe essere utile pensare a forme di arbitrato e mediazione ritagliate sulle caratteristiche del settore.
La rarità e la scarsa trasparenza delle controversie si deve al fatto che la relazione contrattuale tra le parti è, almeno in Italia, caratterizzata da marcata dipendenza economica dei secondi rispetto alle prime. Ciò, insieme a un’errata concezione e percezione del processo civile – nella nostra cultura, agire per il rispetto di una previsione contrattuale è interpretato dalle controparti come uno straordinario atto di guerra e non come un ordinario percorso di giustizia – genera evidenti distorsioni ed inefficienze.
Per un verso, il concessionario, timoroso di reazioni e possibili ritorsioni, non propone quasi mai cause per la tutela della propria posizione in costanza di contratto. Ogni eventuale sfogo giudiziario è rinviato alla conclusione del rapporto, quando si ritiene che nulla si abbia più da perdere.
Per altro verso, un’azione civile a fine contratto, in una prospettiva di postuma rivendicazione e rancorosa rivincita (anche personale), fa sì che il concessionario sia spinto ad introdurre nel giudizio richieste o tesi assai più estreme di quelle che, con ogni probabilità, avrebbe postulato in un contesto di minore contrapposizione. La difficoltà di avere un quadro completo della giurisprudenza in tema di adempimento e risoluzione dei contratti di concessione alimenta un improvvido passaparola tra i concessionari su fantastici esiti giudiziali che qualche collega avrebbe conseguito, determinando aspettative che, molto spesso, non trovano conforto nel diritto.
Il risultato è, come più volte segnalato in queste colonne, che vi sono poche cause e avanzate quando oramai è troppo tardi per poterle comporre con strumenti diversi dal risarcimento patrimoniale. Di riflesso, la casa è quasi sempre costretta a gestire doglianze dei concessionari che, se avanzate per tempo, avrebbero forse potuto trovare migliore soluzione, con evidente riduzione di tempi e costi, anche legali.
È allora forse il caso di pensare ad introdurre forme alternative di conciliazione che eliminino questa evidente inefficienza. Perché non costituire, di concerto con una delle Camere arbitrali più accreditate a livello nazionale, una sezione specializzata nella mediazione, prima, e composizione, poi, delle controversie tra case e concessionari ? Composta da mediatori/arbitri nominati dalle case e dalle associazioni dei dealers, potrebbe diventare il luogo di elezione per dare sfogo alternativo a una contrapposizione che, se gestita come oggi, porta malefici ad entrambe le categorie. Il modello potrebbe essere quello dell’ufficio dell’arbitro bancario costituito tra Abi e associazioni dei consumatori, sotto l’egida di Bankitalia. Con vantaggi immediati ed evidenti:
sganciato dallo strumento processuale tipico e affiancato alla mediazione, l’arbitrato potrebbe depotenziare gli effetti psicologici che segnano le cause;
la partecipazione di case e concessionari alla selezione di un pool di esperti del settore, nel quadro di un assetto procedurale consolidato della Camera arbitrale, riconosciuto come super partes, sarebbe garanzia di equilibrio e tutela di entrambe le parti;
la pubblicazione organica dei lodi emessi o delle mediazioni concluse, con indicazione delle questioni dibattute e delle soluzioni individuate, potrebbe chiarire gli effettivi diritti e doveri dei diversi soggetti, evitando pretese teoriche non sostanziate dalle tesi giuridiche;
la creazione di un organismo ad hoc nel tempo consentirebbe il formarsi di una giurisprudenza specializzata, a tutto vantaggio della giustezza delle decisioni;
la partecipazione di case e concessionari, che potrebbe essere recepita negli stessi contratti in essere (apponendo una semplice clausola compromissoria), permetterebbe, grazie alle sinergie di scala, una gestione delle liti a costi assai inferiori alle cause;
tempi di risoluzione delle controversie sarebbero sicuramente inferiori a quelli attesi per il giudizio davanti ai Tribunali;
è statisticamente dimostrato che la mediazione, se gestita dallo stesso organismo eventualmente chiamato in sede arbitrale, dà tassi di chiusura liti molto alti (talora anche il 90%); a tutto profitto dell’efficienza del settore.
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