Il reato di guida sotto effetto di droghe si può accertare anche sulla base di un esame delle urine, anche se il test più attendibile è quello sul sangue. Lo ha confermato la Quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 30237/2017, depositata il 16 giugno, che aderisce all’indirizzo tracciato dal ministero dell’Interno con la circolare del 16 marzo 2012. Un indirizzo tanto consolidato che ha anche un aspetto favorevole per l’indagato: non gli si può contestare il reato di rifiuto di sottoporsi ai test se non acconsente al prelievo del sangue e invece si dichiara disponibile all’esame delle urine.
Dal punto di vista scientifico è noto che il sangue è la «matrice biologica» ideale per soddisfare i severi requisiti necessari in Italia per condannare una persona per guida sotto effetto di droghe: l’articolo 187 del Codice della strada richiede non solo di accertare che l’interessato ha assunto sostanze proibite, ma anche che al momento in cui è stato fermato per il controllo (o quando è stato coinvolto nell’incidente da cui il controllo è scaturito) guidava in stato di alterazione psicofisica dovuto all’assunzione di quelle sostanze. E il sangue è la matrice che quando viene analizzata segnala positività alle droghe praticamente solo se esse stanno davvero facendo effetto in quel momento.
Di contro, il prelievo di sangue è invasivo, per cui richiede personale specializzato e adeguate condizioni igieniche. Cose che lo rendono anche costoso. Più semplice ed economico è prelevare un campione di urina, matrice che però può dare positività anche quando il suo effetto sulle condizioni psicofisiche dell’interessato si è ormai esaurito. Svantaggi ci sono anche nell’utilizzo delle altre possibili matrici: capelli, saliva e sudore.
Sulla scelta della matrice utilizzabile, in assenza di precise disposizioni di legge, il ministero dell’Interno con la circolare del 16 marzo 2012 (la n. 300/A/1959/12/109/56) si limitò a citare per esempio il sangue e la saliva. La Cassazione, nella sentenza 30237/2017:
- rimarca che questi sono solo esempi e quindi non è escluso che si possano utilizzare anche le urine;
- ricorda che ciò non implica l’obbligo di esaminare più matrici per lo stesso fatto, per cui è sufficiente che il guidatore venga sottoposto a esame su una sola di esse (come già stabilito sempre dalla Quarta sezione penale con la sentenza 6995/2013).
Il problema della minore affidabilità delle urine viene risolto dalla sentenza 30237/2017 citando le motivazioni dei giudizi di merito, da cui risulta che gli agenti «avevano constatato, al momento del controllo, un atteggiamento estraiato dalla realtà, un linguaggio sconnesso e pupille dilatate». Tutti indizi di alterazione psicofisica in atto e che hanno pieno valore, come stabilito per esempio sempre dalla Quarta sezione della Cassazione con le sentenze 6995/2013 e 48004/2009.
Dato per acquisito che la giurisprudenza considera sufficiente anche il solo prelievo delle urine, va detto che ciò in alcune circostanze può anche trasformarsi in un vantaggio per il guidatore. Accade quando - per errore o per la limitata dotazione di mezzi - gli viene prospettata solo la possibilità di essere sottoposto al prelievo del sangue.
Rifiutare il prelievo ematico è legittimo, purché ci si renda disponibili ad altri test meno invasivi. Lo scorso autunno lo ha ricordato la stessa sezione della Cassazione (sentenza 43864/2016), richiamando due sentenze abbastanza recenti (la 1494/2013 e la 49507/2015). Infatti, l’articolo 187 del Codice della strada «non sanziona il rifiuto opposto ad un particolare prelievo di campioni biologici quanto, piuttosto, la condotta ostativa ovvero deliberatamente elusiva dell’accertamento di una condotta di guida indiziata di essere gravemente irregolare e tipicamente pericolosa».
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