Tra i temi che verranno discussi tra oggi e domani qui a Tallinn in una riunione informale dai ministri delle Finanze dell’Unione vi è quello annoso della tassazione dell’industria digitale. Alcuni paesi, tra cui l’Italia, hanno proposto di tassare le grandi multinazionali del settore sulla base non dei profitti, ma del fatturato. La presidenza estone dell’Unione è convinta che un’altra soluzione potrebbe essere di tassare le imprese sulla base del numero di clienti o di contratti in un dato paese.
In un documento preparato dalla presidenza estone dell’Unione si spiega che la situazione fiscale delle grandi imprese multinazionali è segnata da gravi forme di ingiustizia: «Siamo di fronte a un chiaro fallimento delle regole internazionali in questo campo tale da minare il principio della neutralità fiscale», si legge nel rapporto. L’industria digitale è immateriale per natura, e riesce per questa ragione a sfuggire alla tassazione legata al luogo di residenza.
Nel mirino sono soprattutto le grandi aziende americane: Apple, Amazon, Google o Facebook. In questi anni, la Commissione europea ha preso di mira gli accordi fiscali con i quali molte società in Europa spostano profitti da un paese all’altro per ridurre la fattura fiscale. In un rapporto del 2016, il Parlamento europeo stima che il mancato gettito per via di vari trucchi fiscali è pari a 50-70 miliardi di euro all’anno. L’idea di tassare il fatturato, e non i profitti, rappresenta una rivoluzione in campo fiscale.
Nel suo documento, l’Estonia, tra i paesi al mondo dove il digitale ha messo più radici, si dice contraria a «soluzioni rapide», come per esempio una tassa sulla pubblicità online. Secondo il governo estone, questo tipo di imposta è normalmente associata a una imposizione sui profitti; è tendenzialmente connessa a servizi particolari; rischia di essere volatile perché legata a un modello di business che potrebbe cambiare; e infine potrebbe provocare nuove forme di mancata multipla tassazione sui profitti.
In questo senso, «soluzioni rapide» rischiano di non essere soluzioni «affidabili», secondo il governo estone. L’Estonia propone quindi di emendare le regole internazionali in vigore, piuttosto che “reinventare la ruota”. L’approccio proposto dal ministero delle Finanze estone è di tassare le società sulla base dei loro clienti nel singolo paese, modificando il concetto di «presenza permanente» che non sarebbe più fisica come in passato ma virtuale.
Per tassare equamente verrebbe valutata la presenza digitale di una impresa, per esempio attraverso il numero di clienti residenti in un dato paese che acquistano libri, ascoltano musica, guardano film o utilizzano siti. «Sulla base di questo approccio – spiega la presidenza estone dell’Unione nel documento preparatorio alla riunione di questa settimana – le regole internazionali sulla tassazione, ben note e relativamente efficaci, verrebbero confermate», ma adattate alla digitalizzazione dell’economia.
Proprio questa settimana è stato ultimato un rapporto del Parlamento europeo messo a punto dal socialista olandese Paul Tang. Secondo la relazione i paesi membri dell’Unione hanno perso gettito fiscale per 5,4 miliardi di euro tra il 2013 e il 2015 per mancati versamenti da parte di Google e Facebook. Nel rapporto si legge che l’aliquota media pagata da Google a livello mondiale è pari al 9% dei profitti, mentre in Europa il tasso scende allo 0,82%, approfittando di numerose scappatoie.
È da ricordare che Bruxelles ha proposto l’adozione di una base imponibile unica per le imprese presenti in più paesi dell’Unione europea (si veda il Sole 24 Ore del 26 ottobre 2016). Lo strumento, attualmente in discussione al Consiglio, sarebbe obbligatorio per le aziende con un fatturato di almeno 750 milioni di euro. La base imponibile unica non risolverebbe il caso delle imprese digitali, ma limiterebbe l’abitudine di spostare profitti da un paese all’altro per ridurre il carico fiscale.
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