La semplificazione passa anche attraverso la banale manutenzione delle leggi vigenti, in modo da rendere omogenee le disposizioni che fanno riferimento a concetti simili ed eliminare quelle superate dall’evoluzione della normativa.
Per esempio, il fatto che alcune norme richiamino i «mercati regolamentati», altre i «mercati regolamentati italiani ed esteri» e altre ancora i «mercati regolamentati e i sistemi multilaterali di negoziazione» non può dipendere dalla volontà del legislatore, ma solo da un problema di mancato adeguamento della legge al mutato contesto.
Un fenomeno simile riguarda il calcolo del valore normale per i titoli quotati. Alcune norme impongono che sia calcolata la «media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese»; altre il valore «dell’ultimo giorno dell’esercizio ovvero la media aritmetica dell’ultimo mese», altre, la «media aritmetica dei prezzi dell’ultimo semestre».
Per le rimanenze di merci, il richiamo al «valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio» suona come una beffa: è già difficile stimare il valore normale di attività non quotate; quello normale medio è proprio impossibile.
Come non si è mai compreso perché la facoltà di limitare l’utilizzo delle perdite pregresse in modo da assorbire eventuali eccedenze di imposta a credito sia riservata ai soggetti Ires e non spetti invece anche alle persone fisiche e agli enti non commerciali.
Nell’ambito del reddito d’impresa, una norma di fatto dimenticata è quella che obbliga a comunicare all’Agenzia i cambi dei criteri di valutazione: l’informazione è ormai obbligatoriamente contenuta nella nota integrativa al bilancio; non serve una norma fiscale ad hoc.
Altra regola ormai superata è quella che prevede la riduzione a metà del coefficiente d’ammortamento nell’anno di entrata in funzione del bene anche quando l’impresa contabilizza gli ammortamenti in proporzione agli effettivi giorni di possesso.
Per quanto marginale, la sanzione comminata quando un illecito «compenso di partite» o la mancata conservazione del cosiddetto «prospetto ex art. 3 e 5 del Dpr. 600/73» non abbia comunque prodotto impatti sull’imponibile è sproporzionata. Nel dubbio, la contabilità viene spesso appesantita dallo sforzo – il più delle volte concretamente inutile – di tenere “i saldi aperti”: si pensi ai “pronti contro termine” la cui rappresentazione in base alla sostanza, nella stragrande maggioranza dei casi, dà ormai lo stesso risultato fiscale di quella basata sulla forma.
La determinazione dei redditi, per le persone fisiche, sarebbe notevolmente semplificata – senza reali impatti sul gettito – se, per le attività finanziarie, il criterio di stratificazione dei costi basato sul «Lifo continuo» fosse sostituito dal costo medio, come avviene nel regime del risparmio amministrato. Lo stesso va detto per i prelievi e le cessioni di valute dai conti correnti. Il calcolo delle plusvalenze e delle minusvalenze, richiederebbe solo pochi minuti se la legge non imponesse di determinarle utilizzando il Lifo.
Ancora più assurda è la pretesa che la base imponibile dell’Ivafe sia ponderata per i giorni di possesso di ciascun titolo. Non cambierebbe nulla in termini di gettito (ma molto in termini di semplificazione) se l’imposta fosse calcolata –come avviene per l’imposta di bollo pagata delle banche – sul valore complessivo delle rendicontazioni periodiche.
Ma soprattutto, non pare più giustificabile che debba essere compilato il quadro RW della dichiarazione dei redditi da parte di chi detenga attività finanziarie in un Paese aderente al sistema di scambio di informazioni automatico (CRS).
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