In questo scampolo di legislatura, con una manovra di Bilancio da presentare, può sopravvivere uno scampolo di immaginazione e di speranza per un fisco migliore? Dopo tante promesse ed impegni (e condoni), occorre indubbiamente un immarcescibile ottimismo per pensare che qualche cosa possa essere fatta. Anche perché, con ogni evidenza, dovrebbe essere fatta a costo zero. Ebbene, seppur angusti, dei margini si possono trovare.
Un intervento, ad esempio, che sarebbe tempo che venisse fatto, è sull’annosa questione del contraddittorio preventivo, su cui la Suprema corte è intervenuta anche lunedì (ordinanza 21071/2017, si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Dopo le tre ordinanze della Corte costituzionale (187, 188 e 189 del 13 luglio 2017), che hanno dichiarato inammissibili i quesiti sollevati dalla Ctr della Toscana, dalla Ctp di Siracusa e dalla Ctr della Campania, e così frustrato le aspettative di tanti, sarebbe tempo per intervenire in modo organico sul tema del contraddittorio preventivo per prevedere un regime unitario ed uniforme valevole per tutti i tributi e tutti i procedimenti. Per intervenire e rimediare, innanzitutto, alla sentenza delle Sezioni unite 24823/2015 che con un improvvido revirement ha riportato la discussione sul contraddittorio procedimentale all’anno zero. Come ben si ricorderà, con quella sentenza le Sezioni unite, disattendendo quanto dalle medesime affermato poco più di un anno prima (Cassazione, Sezioni unite, 19667/2014), hanno ritenuto che il contraddittorio endoprocedimentale non costituisca un principio immanente dell’ordinamento. Ad avviso della Suprema corte occorre distinguere, in seno all’ordinamento, tra tributi armonizzati (come l’Iva) e tributi non armonizzati (come le imposte sui redditi), per riconoscere solo ai primi (in forza delle fonti comunitarie) la generale applicazione del contraddittorio preventivo, laddove per i secondi questo sarebbe obbligatorio nei soli casi in cui è previsto espressamente (ad esempio in tema di abuso del diritto). Come da più parti denunciato, si tratta di una soluzione che contraddice la logica, prima che il sistema. Essa ipotizza, infatti, che gli accertamenti ai fini dei tributi armonizzati seguano percorsi autonomi e distinti da quelli per i tributi non armonizzati, quando ciò non accade, nel senso che l’accertamento è usualmente il medesimo, sicché è difficile (oltre che irrazionale) credere che il contraddittorio possa essere attivato solo per una parte dei rilievi, altrimenti comuni. E poi, e soprattutto, perché di fatto viene a tracciare una distinzione che è una vera e propria discriminazione tra contribuenti di tributi armonizzati, che hanno diritto ad essere sentiti prima dell’emissione di un atto impositivo, e contribuenti dei tributi non armonizzati, che invece tale diritto lo hanno solo in talune e circoscritte ipotesi. Una discriminazione, questa, che contrasta palesemente con l’articolo 3 della Costituzione, diversificando il trattamento dei contribuenti (con o senza contraddittorio) solo in ragione del tipo di tributo e/o di procedimento. Da qui l’assoluta urgenza, prima che opportunità, di un intervento che appare necessario, oltre che per ragioni di equità, per rimediare
alla confusione, tanta, che si registra sul tema è che è foriera di un defatigante contenzioso. Si tratterebbe peraltro di un intervento a costo zero, che con un regime transitorio scritto sapientemente, potrebbe limitarsi a risolvere le criticità per il futuro.
Un secondo intervento a costo zero potrebbe essere quello di portare a termine il disegno di legge (atto Senato 988) per l’introduzione di un codice del processo tributario. È un progetto completo, che ha l’ambizione di mettere semplicemente rimedio ad alcune criticità del contenzioso tributario. Certo, è solo un palliativo rispetto alle vere emergenze del processo tributario, che attengono all’organizzazione dell’amministrazione della giustizia, ma sarebbe un segnale forte, che peraltro darebbe un senso (postumo) alla rottamazione delle liti.
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