Quest’estate sono aumentati i controlli antidroga sulle strade italiane: tra luglio e settembre, nelle notti del sabato e della domenica, sono stati estesi a 80 province i test della Polizia stradale sui conducenti secondo il protocollo operativo (si veda la scheda sotto a destra) sperimentato nel 2015 in 35 province e allargato a 39 nel 2016 e a 58 nel primo semestre di quest’anno. In attesa dei risultati dell’estate, si può dire che finora il protocollo ha funzionato. Ma difficilmente si arriverà a un contrasto massiccio della guida sotto effetto di droghe: restano limiti di natura legale, tecnica e scientifica. Per buona parte, non si tratta di problemi solo italiani.
Risultati
Il protocollo ha funzionato per due motivi: ha aumentato il numero di guidatori controllati e ha dimostrato che il grado di attendibilità dei test rapidi fatti su strada è apprezzabile.
Quanto al numero di controlli, non ci sono cifre precise. Ma da giugno 2015 a maggio 2017 il protocollo ha consentito di accertare con tutte le garanzie del caso 501 casi di positività. Sembrano pochi, in rapporto ai 1.146 accertati nel solo 2014. Ma va considerato che il protocollo finora è stato applicato solo in alcune parti del territorio nazionale e solo per sei mesi all’anno.
Dal punto di vista dell’attendibilità, i test rapidi fatti con precursori per selezionare i positivi la cui saliva viene poi sottoposta a esami di laboratorio che fanno fede ai fini del processo (la guida sotto effetto di droghe è un reato) hanno avuto esiti confermati nel 74,2% dei casi.
Problemi tecnico-scientifici
Ma la percentuale di conferme varia abbastanza secondo il tipo di droga: si va dall’82% della cocaina al 6,3% di amfetamine e metamfetamine, passando per il 79,03% dei cannabinoidi e il 50% degli oppiacei.
Sono rilevati solo quattro tipi di sostanze. Ma le droghe sono molte di più. Non solo perché le tabelle delle sostanze illecite ne contano più di una quarantina, ma anche perché l’offerta è in continua evoluzione, se non altro perché, non essendo ancora inserite nelle tabelle, sono producibili e spacciabili con meno complicazioni.
Inoltre, ci sono situazioni controverse. Alcune sono ineliminabili, perché dipendono dalla strumentazione utilizzata. Altre sono tipicamente italiane: emergono perché le modalità dei prelievi (per esempio, se utilizzare saliva, urina o sangue) e degli esami vanno stabilite dalle Regioni e solo Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana e Lazio (più alcune città in altre aree) lo hanno fatto in modo completo e dettagliato.
Problemi legali
Ci sono poi problemi scientifici legati a ragioni legali. Il più importante è che non è semplice capire quando chi ha assunto droghe (anche settimane prima) stia guidando sotto il loro effetto. Capirlo è necessario, perché il Codice della strada (articolo 187) punisce solo chi guida mentre è in stato di alterazione da droghe.
In laboratorio si misura solo la presenza di una sostanza. Per accertare se essa sta facendo effetto, occorre una visita specialistica, con modalità previste nei protocolli: si esaminano comportamento, linguaggio, postura, coordinazione ed equilibrio nei movimenti, pupille, pressione eccetera.
Ma questo non dà comunque certezza piena: ci sono casi in cui i medici (specializzati) non se la sentono di certificare se lo stato di alterazione ci sia o no (anche perché magari sono trascorse ore da quando il guidatore è stato fermato su strada). Così un’alternativa può consistere nel fissare per legge soglie di cut off: valori sopra i quali si presume che un soggetto sia sotto effetto (oggi ce ne sono solo sotto forma di linee guida scientifiche per valutare se l’interessato è positivo al test che dice se la droga c’è ed è attiva nell’organismo). Ma è dimostrato che, anche a pari quantità di sostanza presente, gli effetti sulla capacità di guida variano da una persona all’altra.
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