Tra le mille scadenze per i contribuenti ne manca una per gli uffici: la risposta in tempi brevi e certi alle istanze di annullamento in autotutela. Perché l’autotutela, così com’è, senza l’obbligo di risposta in tempi certi serve a poco. Così come sono pochi gli uffici che si assumono la responsabilità di annullare gli atti sbagliati.
L’autotutela è lo strumento che, in materia tributaria, impiega il cittadino per farsi ascoltare dagli uffici quando ritiene di avere subito un’ingiustizia. Purtroppo non si risolvono i problemi con le etichette, chiamando semplificazione cièò che in realtà è complicazione. E i contribuenti meritano un sistema fiscale che generi certezze, non paure, ansie e panico, come quello degli ultimi anni.
Già dal 1998, cioè dall’anno successivo all’entrata in vigore del regolamento sull’autotutela, 11 febbraio 1997, n. 37, con la lettera-circolare 195/S del 5 agosto 1998, il ministero delle Finanze ricorda agli uffici «che non tengono conto della normativa vigente» e, in particolare del decreto sull’autotutela che l’atto sbagliato è annullabile senza limiti di tempo. Il documento prosegue, avvertendo gli uffici sui rischi che corrono con le liti temerarie. La lettera-circolare chiarisce che l’autotutela «non è una specie di optional» e l’ufficio emittente «non possiede una potestà discrezionale di decidere a suo piacimento se correggere o no i propri errori».
Il regolamento sull’autotutela riconosce il principio che chi ha il potere di fare ha anche il dovere-potere di disfare o di correggere il proprio errore.
Qualsiasi atto sbagliato, dunque, deve essere annullato dall’ufficio anche se:
- l’atto è divenuto ormai definitivo per decorso dei termini per ricorrere;
-il ricorso è stato presentato ma respinto con sentenza passata in giudicato per motivi formali (inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità); il contenuto dell’atto prevale sulla forma;
-vi è pendenza di giudizio;
-il contribuente non ha prodotto alcuna istanza.
Ai fini dell’autotutela, all’ufficio è attribuito il solo e unico compito di verificare, in modo del tutto autonomo e indipendente, se l’atto è legittimo o meno. Se la pretesa è infondata in tutto o in parte, va ritirata o ridotta per ristabilire un corretto rapporto con il contribuente, che non può essere chiamato a pagare tributi che non sono strettamente previsti dalla legge.
L’atto sbagliato che viene annullato comporta, poi, l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse. L’annullamento in autotutela dell’atto illegittimo o infondato ha un solo limite: che esista una sentenza passata in giudicato favorevole all’ufficio. Deve però trattarsi di una sentenza che abbia pronunziato sul “merito” del rapporto tributario e non nella forma o nel tempo.
Va ricordato che l’autotutela serve a entrambe le parti - fisco e contribuente - perché:
-tutela l’amministrazione finanziaria;
-tutela il cittadino interessato all’annullamento o alla correzione.
Come si è detto, se l’ufficio non ha alcun obbligo di risposta in tempi certi e il contribuente non ha tutela giurisdizionale, l’autotutela serve a poco, così come sono pochi gli uffici che si assumono la responsabilità di annullare gli atti illegittimi o infondati.
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