A Roma una famiglia non può sapere se la tassa rifiuti che paga è giusta oppure no. Le delibere del Campidoglio, infatti, “dimenticano” da anni di indicare le aliquote per le case. Ed è solo uno dei tanti casi in cui il conto della Tari si presenta gonfiato o alterato; casi che stanno accendendo la corsa ai rimborsi da parte dei contribuenti.
Dopo il censimento pubblicato sul Sole 24 Ore del 30 ottobre sulla trappola della tassa rifiuti - che scatta da Milano a Genova, da Napoli a Cagliari con la moltiplicazione della quota variabile applicata a cantine e garage - altri problemi sono infatti spuntati come funghi, raccolti grazie alle segnalazioni dei lettori arrivate in redazione.
Breve riassunto delle puntate precedenti, indispensabile per capire. La Tari, ultima apparente evoluzione di una tassa sui rifiuti che cambia continuamente il nome ma non la natura, si paga in base a una quota fissa e una quota variabile. La prima è un valore al metro quadro (per esempio: 2 euro), la seconda cresce invece in base agli abitanti della casa (per esempio: 140 euro per una famiglia di 4 persone). Questa seconda voce serve a rendere la tassa proporzionale alla quantità di rifiuti smaltiti, sulla base del presupposto ovvio che più persone producano più spazzatura («chi inquina paga», recita il principio europeo a cui l'Italia tenta da anni affannosamente di adeguarsi). I rifiuti però si producono in casa, per cui la presenza di pertinenze come la cantina o il garage (che già fa crescere la quota fissa moltiplicata per i metri quadrati) non dovrebbe cambiare la quota variabile. Ma un calcolo furbo, bollato come illegittimo dal ministero dell'Economia tre settimane fa in risposta a un'interrogazione alla Camera dei Movimento 5 Stelle, in molti Comuni chiede tante quote variabili quante sono le pertinenze. Se la casa ha due pertinenze, per esempio, i 140 euro legittimi citati sopra si trasformano in 420 euro illegittimi.
L'esame dei regolamenti locali ha mostrato questi e altri problemi in città come Milano, Genova, Ancona, Napoli, Catanzaro e Cagliari, ma le bollette inviate dai lettori al nostro giornale indicano che la Tari può ammalarsi di gigantismo anche se il regolamento non lo dice.
A Roma la nebbia è fitta, e a dominare è il silenzio. In particolare, il silenzio delle delibere, che “dimenticano” le tariffe da applicare alle utenze domestiche. Precise sul conto da presentare ad alberghi, negozi, cinema, uffici, banche e via dettagliando, le decisioni capitoline non parlano delle case. Un vuoto che stando ai documenti ufficiali pubblicati sul sito del dipartimento Finanze dura almeno dal 2014, e ha quindi resistito alle tante giunte, tecniche e politiche, che hanno abitato il Campidoglio negli ultimi anni. Senza aliquote, però, qualsiasi controllo sulla correttezza delle bollette è impossibile, e in alcuni casi il conto non torna nemmeno quando si confronta la tariffa chiesta ai cittadini con quella indicata dal calcolatore online di Ama. Solo un dato è certo: una delibera senza le aliquote per le famiglie non è regolare.
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