I sindaci aprono la porta ai rimborsi della tariffa rifiuti moltiplicata in modo illegittimo su box e cantine. Ma chiedono in manovra una regola che permetta di finanziarli con fondi di bilancio, per evitare di dover presentare conguagli ai contribuenti non colpiti dal problema. Eventuali aumenti della Tari per finanziare gli indennizzi, spiega del resto il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, «sarebbero illogici e sbagliati».
L’ostacolo da superare, non piccolo, è il principio chiave della Tari, perché il suo conto è misurato sull’esigenza di coprire i costi del servizio indicati nel piano economico-finanziario dell’azienda di igiene urbana. Non un euro di più, insomma, e non un euro di meno: con la conseguenza che in teoria i soldi da restituire ai contribuenti vittime di conteggi sbagliati andrebbero chiesti a tutti gli altri (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
A dettare la linea è stato ieri il presidente dell’Anci. «Il rimborso - ha detto Antonio Decaro intervistato ieri mattina a «Due di Denari» su Radio 24 - è un diritto dei cittadini», per cui ad attivarlo potrebbero essere le amministrazioni anche senza aspettare le richieste dei singoli contribuenti. Ma la Tari, appunto, serve solo a coprire i costi di raccolta e smaltimento, e ci vorrebbe una regola eccezionale per coprire gli indennizzi con altre risorse.
Una strada alternativa potrebbe però aprirsi all’interno dei piani economico finanziari della Tari, almeno in quelli costruiti meglio: le regole chiedono infatti di accantonare un fondo di svalutazione crediti, che serve ad affrontare eventuali imprevisti (le mancate riscossioni prima di tutto) e che in base alle linee guida ministeriali dovrebbe attestarsi oggi intorno al 2% delle entrate complessive prodotte in un anno dalla tariffa rifiuti. Almeno nei casi meno gravi, dunque, questa voce potrebbe servire alla bisogna.
La battaglia, però, potrebbe accendersi sulla definizione delle applicazioni illegittime della Tari. I sindaci lamentano il fatto che il ministero dell’Economia, che pure interviene spesso con obiezioni su regolamenti e delibere tributarie, abbia pubblicato senza battere ciglio le decisioni comunali finite in fuorigioco con la risposta del sottosegretario Baretta al question time dei Cinque Stelle che ha innescato la questione. Il punto è che, paradossalmente, non esiste una norma a cui fare riferimento. Le regole di base restano quelle del 1999 (Dpr 158), pensate 15 anni prima della nascita della Tari: la disciplina di quest’ultima evoluzione del tributo è invece scritta nelle linee guida ministeriali, che però non hanno valore di legge.
Questo vuoto complica anche il lavoro dei tecnici dell’Economia, che nei prossimi giorni dovrebbero pubblicare la nuova circolare annunciata sul tema. L’idea è quella di ribadire la legittimità della sola via maestra, quella che unisce box, cantine e solai all’appartamento senza prevedere trattamenti alternativi. Un conto, ribattono però i sindaci, è il caso della quota variabile applicata per ogni pertinenza, che moltiplica la bolletta in modo oggi indifendibile. Diverso sarebbe il caso di altri meccanismi, che per esempio considerano i box come utenze «non domestiche» applicando tariffe alternative. Saranno i confronti tecnici di questi giorni a definire l’esito della partita.
Intanto Confcommercio rilancia l’altro fronte, evidenziato sul Sole 24 Ore di ieri, che spesso vede le imprese pagare la Tari anche su magazzini e aree di produzione in mancanza del decreto del ministero dell’Ambiente (pronto, ma non emanato) chiamato a limitare le assimilazioni dei rifiuti speciali a quelli urbani. Con rincari, calcola il centro studi, che possono arrivare al 68%.
© Riproduzione riservata