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Il caos Tari si allarga anche alle imprese

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tributi locali

Il caos Tari si allarga anche alle imprese

La moltiplicazione del tributo sui rifiuti nei Comuni che hanno applicato la quota variabile a garage e cantine come se fossero appartamenti aggiuntivi continua ad agitare la cronaca. Il ministero dell’Economia è al lavoro sulla circolare, in cui più che parlare di rimborsi ribadirà regole sull’applicazione corretta del tributo. Le associazioni dei consumatori sono partite all’attacco (il Codacons ieri ha annunciato esposti alle procure della Repubblica e alla Corte dei conti).

I Comuni stanno verificando la propria situazione, con approcci diversi fra loro. A Milano, per esempio, il sindaco Giuseppe Sala ha aperto ai rimborsi, ad Ancona, invece, l’amministrazione resiste sulla base del fatto che regolamento e delibera non hanno subito obiezioni dal dipartimento Finanze. In ogni caso, la palla avvelenata resta ai sindaci, con un corollario non da poco: la Tari serve a coprire i costi del servizio, per cui gli euro che vengono a mancare con i rimborsi rischiano di essere ribaltati sugli altri contribuenti sotto forma di conguagli. L’ipotesi si fa certezza per l’anno prossimo, quando i Comuni interessati dal problema dovranno correggere le delibere incriminate: senza cambiare il peso complessivo della torta, ma solo la distribuzione delle fette. Ma quello sulla tassazione di garage, cantine e solai, è solo l’ultimo inciampo di una delle tasse più tormentate d’Italia.

Ancora più pesante, almeno per i valori complessivi in gioco, è il dilemma dei magazzini (e degli uffici) delle imprese. In sintesi, il problema è il seguente. Gli impianti delle aziende, così come i negozi di molti artigiani, smaltiscono in proprio i loro «rifiuti speciali», pagando un servizio aggiuntivo. Nella Tari, allora, entrano solo i rifiuti che i Comuni «assimilano» a quelli urbani. Ma fin dove possono arrivare queste assimilazioni? La questione alimenta conflitti infiniti fra aziende e amministratori locali, accusati di allargare le assimilazioni fino ad abbracciare rifiuti speciali con il risultato di far pagare due volte lo smaltimento. Sui tavoli del ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, è pronto il decreto che dovrebbe risolvere il problema, vietando di applicare la Tari ai rifiuti nati nelle aree di produzione e nei magazzini delle aziende. Il provvedimento, elaborato dopo mesi di confronti tecnici, blocca la Tari sui magazzini e sulle attività commerciali medio-grandi: negozi di abbigliamento, autosaloni e librerie con più di 400 metri quadrati di superfici di vendita, supermercati che superano gli 800 metri quadrati, edicole, farmacie e tabaccai da oltre 250, e così via secondo limiti diversi per ogni categoria.

In questi casi, spiega il provvedimento, si possono tassare solo i rifiuti di mense, uffici e locali di servizio, con una serie di parametri rigidi. Ma c’è un problema: al decreto manca la firma finale, nonostante serva ad attuare la riforma del Codice dell’ambiente scritto nel 2006, undici anni fa, e nonostante l’inedito intervento del Tar che ha addirittura diffidato il governo ad adottarlo. Il termine fissato dai giudici amministrativi, però, è scaduto. Anche in questo caso, a bloccare la macchina c’è la questione della copertura integrale dei costi del servizio, che impongono una sorta di tiro alla fune tributaria fra cittadini e imprese: troppo problematico alla vigilia delle elezioni.

Un punto debole, in quest’ottica, è rappresentato anche dagli sconti che i Comuni possono applicare per le case vuote, per esempio le seconde case al mare o in montagna: sconti “liberi”, che portano gli enti a riduzioni percentuali a forfait (per esempio una riduzione del 20% a case vuote per larga parte dell’anno), oppure a considerare la casa occupata da un numero pre-determinato di abitanti.

Ma nel ricco carnet dei problemi fiscali esalati dall’immondizia ci sono anche nodi che si possono sciogliere senza chiedere il conto agli altri contribuenti. Il primo è rappresentato dall’Iva sulla Tia, la vecchia tariffa di igiene ambientale: a spiegare che quella tariffa non era un corrispettivo ma ancora una volta un tributo, e che quindi non si poteva pagare anche l’Iva (un’imposta su una tassa) è stata addirittura la Corte costituzionale, ma sono pochi i contribuenti che finora si sono visti restituire quanto versato di troppo. E siccome nel fisco italiano nessun problema è risolto per sempre, la questione Iva promette di riproporsi per l’ultima frontiera della Tari, la «tariffa puntuale» (Tarip, per gli amanti degli acronimi) che nelle promesse pesa le bollette sulla quantità effettiva di rifiuti prodotti. Applicata per ora in poche centinaia di Comuni, la tariffa puntuale dovrebbe estendersi a tutti nei prossimi anni. Anche questa tariffa, però, è «puntuale» di nome ma non di fatto, perché misura davvero solo i rifiuti che evitano la raccolta differenziata, e la Cassazione (sentenza 17713/2017 a Sezioni unite) ha già suggerito che di conseguenza l’Iva resta illegittima.

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