Gli ultimi ritocchi alle norme previste dalla legge di bilancio 2018 relative alla rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) presentano un impatto rilevante per la platea dei lavoratori dipendenti privati italiani, e in particolare per chi vuole anticipare il pensionamento rispetto all'età ufficiale. Con ripercussioni differenti, come vedremo, tra i lavoratori di piccole e medie imprese da una parte e quelli attivi in imprese con oltre 50 addetti dall'altra.
L'accesso a questa prestazione è stata allargata negli ultimi ritocchi in sede di manovra: l'erogazione del capitale richiesto (anche frazionato) sarà riconosciuta a partire dal 2018 ai lavoratori che avranno cessato il rapporto di lavoro a meno di 5 anni dall'età di vecchiaia, con almeno 20 anni di contribuzione obbligatoria (modifiche d.lgs. 252/2005 art. 11, comma 4); ma potranno accedervi anche gli inoccupati da almeno 24 mesi e che maturano entro dieci anni i requisiti per la vecchiaia, con 20 anni di contributi (modifiche d.lgs. 252/2005 art. 11, comma 4 bis).
Cuscinetto per gli esodati
Occorre ricordare che a differenza dell'Ape – anticipo pensionistico - la Rita non è un prestito intermediato da un istituto finanziario e/o assicurativo, bensì mette in gioco il risparmio previdenziale del lavoratori in una fase anticipata rispetto alle norme di legge fin qui in vigore. Fosse stata presente a inizio 2012 l'opportunità di utilizzare anzitempo il capitale accumulato nella propria posizione previdenziale di secondo pilastro, la Rita avrebbe offerto agli esodati un “reddito ponte” tra quello di lavoro e il pensionamento tale da ridurre la necessità da parte dello Stato di intervenire con le diverse salvaguardie (riducendone in ogni caso l'entità economica).
La leva del risparmio
L'entrata in vigore della Rita ha in più il merito da rendere i lavoratori avvertiti sull'opportunità di costruirsi attivamente la propria posizione previdenziale, senza attendere in modo passivo il solo ottenimento dei requisiti di norma. Chi dispone di liquidità può considerare infatti di conferirla nel proprio fondo pensione, sfruttando diversi benefici: innanzi tutto la deduzione fiscale fino al un massimo di 5164,57 euro l'anno, ma soprattutto rendere più consistente il montante accumulato, in vista dell'età del pensionamento, per ottenere una seconda pensione più alta o un capitale utilizzabile prima del percepimento dell'assegno previdenziale di primo pilastro.
Una forma alternativa a scelte finanziarie e assicurative (i cui costi sono decisamente superiori), non trascurabile per chi dispone di liquidità di difficile allocazione: nonostante il successo della raccolta del risparmio gestito e il trend positivo dei mercati finanziari che complessivamente dura da oltre un lustro, sui conti correnti bancari sono depositati 1400 miliardi di euro “ a vista”. Per non parlare del patrimonio immobiliare degli italiani: oltre 500mila abitazioni di proprietà in attesa di affittuari.
Le due categorie di lavoratori
Ma l'entrata in vigore della Rita, oltre ad estendere le prerogative dei lavoratori, ne rimodula le opportunità in base alla dimensione dell'azienda in cui sono occupati: gli addetti in aziende con oltre 50 dipendenti hanno aderito finora ai fondi pensione conferendovi il proprio trattamento di fine rapporto (6,91% della retribuzione lorda, oltre al contributo volontario e datoriale) in proporzione superiore rispetto a chi opera in aziende di dimensioni ridotte, dove il Tfr rappresenta una fonte di liquidità importante per le imprese in perenne difficoltà di ottenere credito dal sistema bancario. La ragione è semplice: a differenza di questi ultimi, il Tfr dei lavoratori di aziende di maggiori dimensioni va al Fondo tesoreria (istituito presso l'Inps nel 2007 per realizzare investimenti infrastrutturali ma presto finiti nella disponibilità del Mef).
La posizione di maggior vantaggio di questi ultimi, rispetto a chi è attivo nelle imprese più piccole, si ribalta con l'entrata in vigore della rendita integrativa temporanea anticipata, almeno per chi non è ancora iscritto a un fondo pensione. E qui entra in gioco il Tfr pregresso, accumulato prima dell'adesione al fondo pensione. Chi lavora nelle Pmi ha facilità di ottenerlo dal proprio datore di lavoro negli anni precedenti il pensionamento, andando a consolidare la propria posizione previdenziale e, eventualmente, anticipare il termine del proprio rapporto di lavoro. Chi lavora nelle grande imprese e vuole aderire a un fondo pensione in extremis (a non meno i 5 anni prima dell'età ufficiale per il pensionamento), può farlo conferendo il Tfr maturando ma non quello – molto più consistente – maturato: dovendo attendere l'età del pensionamento per farlo transitare nella propria posizione di secondo pilastro.
Il Tfr pregresso e il buco normativo
Eppure la legge quadro sulla previdenza complementare (d.lgsl 252/2005) spiega chiaramente che chi intende iscriversi a un fondo pensione può farlo anche con il proprio Tfr maturato in precedenza e accumulato altrove: in azienda, per i dipendenti di Pmi, all'Inps per chi lavora in aziende con oltre 50 addetti. Tuttavia, la mancanza di un regolamento attuativo impedisce all'Inps di ottemperare alle richieste in questo senso da parte dei lavoratori, tramite le proprie imprese e fondi pensione. Il risultato è una previdenza a macchia di leopardo, con opportunità e diritti differenziati sulla base della dimensione dell'azienda di riferimento (che non di rado varia intorno alla soglia dei 50 addetti, ponendo importanti dubbi sulla legittimità delle scelte). E che l'entrata in vigore di Rita evidenzia in modo eclatante.
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