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Pensioni, l’Ape sociale si allarga per donne e contratti a termine

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Pensioni, l’Ape sociale si allarga per donne e contratti a termine

Un anno in più di sperimentazione per l’anticipo finanziario a garanzia pensionistica (Ape volontario e aziendale) e l’allargamento delle maglie dell’Ape sociale con un bonus alle madri lavoratrici e il riconoscimento dell’ammortizzatore anche a chi ha perso l’ultimo contratto a termine. Eccoli i contenuti del “pacchetto previdenziale” della manovra, due misure molto leggere dal punto di vista finanziario cui si aggiunge il passaggio accelerato della rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) alla condizione di norma strutturale (era in sperimentazione fino al termine del 2018).

Vediamo innanzitutto i dettagli con l’ausilio della relazione tecnica che accompagna il Ddl Bilancio 2018-2020 depositato domenica sera in Senato. L’Ape volontario allunga la sperimentazione - nei fatti non ancora iniziata - a tutto il 2019, con pochi oneri aggiuntivi per lo Stato: 35 milioni in più nel 2023 e 43 in più a decorrere dal 2024 fino al 2038, quando le restituzioni con ratei ventennali azzerano la quota. Non cambia infatti la dotazione del Fondo di garanzia (70 milioni) alimentato dagli oneri di accesso all’anticipo finanziario assicurato sul quale, vale ricordarlo, è riconosciuto un credito d’imposta annuo del 50% sugli interessi e i premi assicurativi complessivamente pattuiti nei relativi contratti.

L’Ape sociale, ammortizzatore di ultima istanza in piena fase sperimentale con la raccolta di domande per la seconda fase di monitoraggio che si chiuderà in novembre, si allarga nel 2018 ai contrattisti a termine, che a 63 anni potranno fare domanda se perdono l’ultimo contratto a termine a patto di aver avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto, almeno 18 mesi di lavoro dipendente. Per le lavoratrici madri con i requisiti Ape sociale scatta invece un bonus di sei mesi per ogni figlio, fino a un massimo di 24 mesi. Con questo doppio intervento nel 2018 potrebbero essere riconosciute fino a 6.700 nuove indennità (fino a 1.500 euro al mese per 12 mesi) con un anticipo fino a 43 mesi prima della pensione; anticipo che a parità di versamenti contributivi potrebbe salire a 5 anni e 6 mesi per le apiste madri con 4 figli. Oneri aggiuntivi stimati per le due misure: 79 milioni nel 2018 che salgono a 93 nel ’19 e 80,5 nel ’20, con seguente decalage.

Rita viene resa strutturale con un anno di anticipo sulla sperimentazione e ne viene semplificato l’accesso: la rendita verrà riconosciuta anche ai lavoratori inoccupati da almeno 24 mesi e che maturano entro dieci anni i requisiti per la vecchiaia. Stimando un aumento del 10% dei richiedenti si immagina un effetto finanziario di 4,2 milioni nel primo anno che salgono a 39,7 nel ’19, poi le rendite anticipate producono maggiori entrate.

Per una lettura completa delle norme previdenziali della manovra va poi ricordata la riprogrammazione dei finanziamenti per l’ottava salvaguardia-esodati: rispetto ai 30.700 posti previsti dalla legge di Bilancio 2017 (la 232/2016), l’operazione viene ora considerata chiusa con 16.294 persone tutelate, come fissato nel decreto fiscale 148/2017 in vigore dal 16 ottobre. Per il periodo 2017-2025 si liberano risorse per oltre 900 milioni che finiscono al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (850 nei primi 5 anni).

In manovra c’è infine la regolarizzazione (senza impatto su deficit e debito pubblico) dei rapporti finanziari tra il bilancio dello Stato e quello dell’Inps, con la cancellazione di 88,8 miliardi di debiti dell’Istituto cumulati a fine 2015 a causa di anticipazioni mai rimborsate del Tesoro per il finanziamento di prestazioni(per i dettagli si veda il Sole 24 Ore di domenica). Con questa operazione si ricostruisce il patrimonio netto dell’Inps, che quest’anno dovrebbe chiudere in negativo per 7,9 miliardi. Nel 2018 si ripartirà da un patrimonio positivo attorno ai 51 miliardi. La portata degli interventi previdenziali, come detto di impatto assai marginale, si inscrivono in un quadro Nadef che, a legislazione vigente, vede crescere di 22,1 miliardi ( +8,35%) la spesa per pensioni tra il 2017 e il 2020, da 264,6 miliardi a 286,7.

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