La web tax made in Italy nata con l’ultima legge di bilancio può attendere. La decisione di muoversi unilateralmente sulla tassazione dell’economia digitale ha smosso le acque per arrivare a un’azione condivisa sia a livello comunitario che internazionale. Sul primo fronte il Parlamento europeo ha dato il via libera proprio ieri con ampia maggioranza alla base imponibile unica comunitaria (si veda l’articolo in alto). Sul fronte internazionale è atteso per oggi la pubblicazione del nuovo rapporto Ocse sull’economia digitale destinato ad aprire ufficialmente la strada a una posizione unitaria (e accettata anche da tutti e 28 i Paesi della Ue) sulle misure comuni da adottare, se possibile già entro la fine dell’anno.
La task force messa in campo dall’Ocse negli ultimi anni per osservare l’economia digitale e definire possibili soluzioni sui vari aspetti che contraddistinguono le prestazioni di servizi e le cessioni di beni sull’online, presenterà oggi l’Interim Report sull’economia digitale. Un strumento atteso e che sarà al centro del prossimo G20 di martedì prossimo a Buenos Aires. Il giorno successivo sarà la Commissione Ue a discutere del pacchetto di misure da adottare nel Consiglio europeo della prossima settimana.
Nel rapporto è stata dedicata particolare attenzione anche alle iniziative unilaterali come può essere la web tax targata Italia. Un’iniziativa che ha comunque avuto il pregio di stimolare il confronto nella Ue e che legittima a pieno le scelte dell’Italia visto che dopo l’ultimo rapporto del 2013 sul fronte della digital economy nulla è cambiato e nessuna nuova regola è stata indicata per disciplinare un settore sempre più in espansione ma “accusato” a più riprese di elusione fiscale. Un fenomeno ha prodotto distorsione della concorrenza, iniquità del sistema tributario fino a condizionarne la sostenibilità.
Alla luce del nuovo calendario comunitario e della volontà di arrivare presto a una soluzione condivisa e soprattutto comune, la web tax italiana dunque può attendere. Il decreto attuativo per fare entrare in vigore la norma dal 2019 sarebbe dovuto secondo la legge di Bilancio il prossimo 30 aprile. Un termine ordinario, quindi senza effetti in caso di inosservanza. Alla luce del mutato quadro internazionale e allo stesso tempo dello scenario politico postelettorale che si è determinato nel nostro Paese, il decreto potrà essere approvato anche in autunno visto che con la presidenza bulgara e poi con quella austriaca dell’Unione europea sarà possibile definire il perimetro su cui si formerà l’accordo per la tassazione dell’economia digitale.
Quindi la linea è chiara: non fare passi troppo in avanti rispetto agli orientamenti che si definiranno in ambito extranazionale. Del resto, la web tax italiana è finita da subito nel mirino delle imprese e dei consumatori, preoccupati di vedersi scaricare sul prezzo finale delle operazioni online il nuovo prelievo fiscale.
In realtà, la manovra 2018 fa un intervento a più ampio raggio. Riscrive, infatti, secondo le linee guide Ocse i parametri per definire la presenza di una stabile organizzazione in Italia, che è il presupposto impositivo nel nostro Paese. E a tal proposito si precisa che la stabile organizzazione non si configura se le attività svolte sono a carattere preparatorio o ausiliario. Di pari passo, come anticipato, viene istituita con decorrenza dal prossimo anno (e quindi effetti di gettito pari a poco più di 100 milioni) un’imposta sulle transazioni digitali, applicabile alle prestazioni di servizi rese nei confronti di soggetti residenti in Italia ma anche di stabili organizzazioni di soggetti non residenti. Imposta con aliquota del 3% sul valore della singola transazione, che consiste nel corrispettivo dovuto, al netto dell’Iva, indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione. L’imposta si applica nei confronti del soggetto prestatore, residente o non residente, che effettua nel corso di un anno solare un numero complessivo di transazioni superiore alle 3mila unità.
Un’impostazione da raccordare con l’indirizzo espresso ieri dall’Europarlamento che sembra guardare ai profitti anche di matrice “digitale”, compresi i dati raccolti, nel Paese in cui sono prodotti e sulla proposta in arrivo da parte della Commissione europea.
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