Accelerare il più possibile il restyling sulle pensioni per aprire la strada a quota 100. Uno dei primi obiettivi che intende centrare il governo pentaleghista guidato da Giuseppe Conte resta questo. A ribadirlo è stato ieri via Facebook il nuovo ministro dello Sviluppo economico e Lavoro, oltre che vicepremier, Luigi Di Maio, in linea con le priorità indicate anche da Matteo Salvini e soprattutto con il “contratto” gialloverde: «Applicheremo la misura quota 100 per superare la Fornero».
Ma il leader politico dei Cinquestelle non ha fornito dettagli sulla tempistica dell’intervento. Che, con tutta probabilità, potrà vedere la luce solo in autunno insieme alla misura che dovrà garantire una possibilità di uscita con 41 anni (e forse sei mesi) di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica. Anche perché i costi di questa operazione non sono trascurabili: non meno di 5 miliardi l’anno secondo le stesse stime di Movimento Cinque stelle e Lega (almeno 14-15 miliardi l’anno per l’Inps).
Il capitolo previdenza potrebbe essere però presente nell’eventuale decreto estivo al quale sta pensando il governo, con lo stop all’Ape social e il ripristino di “opzione donna”.
La cancellazione dell’Ape social, studiata dal “gabinetto” Renzi ed estesa a una platea più ampia di lavoratori dall’esecutivo Gentiloni, scatterebbe a partire dal 1° gennaio 2019 (anche se non è escluso uno stop anticipato), e consentirebbe al governo gialloverde di recuperare oltre 600 milioni da riutilizzare a copertura degli altri interventi da varare per superare la legge Fornero. Tra questi c’è l’opzione donna, ovvero la possibilità di uscire con 57-58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi (anche se l’asticella potrebbe essere alzata a 36 o 37 anni) vedendo però calcolato l’assegno interamente con il metodo contributivo. Una misura, cara ai Cinquestelle, che era stata prevista dalle leggi di bilancio per il 2016 e per il 2017 ma che non era stata prorogata dall’ultima manovra, approvata alla fine dello scorso anno dal Parlamento sancendo di fatto la fine della diciassettesima legislatura.
Da un monitoraggio dell’Inps aggiornato ad aprile di quest’anno emerge che dall’inizio del 2016 sono state erogate con i requisiti di opzione donna poco meno di 28mila pensioni per un onere complessivo di poco superiore ai 118 milioni. La fotografia scattata dall’Istituto guidato da Tito Boeri evidenzia anche che dalla sola ultima proroga prevista dalla legge di bilancio per il 2017 sono sgorgati 1.035 assegni (per un onere di 5,3 milioni). Una ripartenza sarebbe insomma subito fattibile visto anche il costo non proibitivo per le casse dello Stato.
Più complessa la partita su quota 100 (uscita con un mix di età anagrafica, partendo da almeno 64 anni, e contributiva) e quota 41 anni (a prescindere dall’anzianità contributiva) da estendere a tutti i lavoratori a differenza di quanto previsto attualmente con la possibilità di uscita anticipata per il soli “precoci”. E ne è consapevole anche Di Maio che per le prossime settimane dovrebbe guidare i due ministeri di Lavoro e Sviluppo economico utilizzando lo strumento dell’interim prima di procedere all’accorpamento vero e proprio per il quale servono tempi abbastanza lunghi.
Al di là delle coperture da trovare, e dei rischi di mancata sostenibilità con cui secondo diversi esperti potrebbe fare i conti il sistema previdenziale nel medio periodo, un intervento per ripristinare i pensionamenti di anzianità potrebbe avere ricadute anche sull’andamento del nostro debito. Nell’ultimo Def “tendenziale” targato Gentiloni-Padoan si evidenzia che senza le riforme pensionistiche varate dal 2004, legge Fornero compresa, il debito pubblico avrebbe raggiunto un livello pari al 150% del Pil nel breve periodo, per schizzare al 200% negli anni in cui si pensioneranno i baby boomers, tra il 2030 e il 2040.
Ma la maggioranza pentaleghista è convinta del fatto suo ed è pronta a far scattare l’operazione al più tardi con la prossima manovra. Proprio in quella sede dovrà necessariamente essere sciolto il nodo dell’adeguamento all’aspettativa di vita che il M5S vuole bloccare, a differenza del Carroccio che intende tenerlo in vita. I sindacati, da parte loro, attendono di capire mosse e tempi. «Non bastano i titoli», ha detto ieri Susanna Camusso.
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