Stop alle sanzioni fino a 30 euro per chi, commercianti o professionisti, non accetta i pagamenti con carte. È quanto ha appena deciso il Consiglio di Stato, in un parere depositato il 1° giugno: sotto esame c’è lo schema di regolamento del ministero dello Sviluppo economico di concerto con l’Economia, con il quale si cerca di contrastare il diniego all’utilizzo della moneta elettronica attraverso un meccanismo sanzionatorio.
Il provvedimento, superando le indicazioni generiche della norma madre, faceva riferimento all’articolo 693 del Codice penale, secondo cui «chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a trenta euro». Una soluzione troppo creativa per i giudici amministrativi che, quindi, hanno deciso di bocciare il testo. Rimandando la palla, a questo punto, nel campo del nuovo Esecutivo, che dovrà decidere se e come intervenire.
L’assetto attuale, pur prevedendo l’obbligo per chi vende prodotti o presta servizi di possedere strumenti in grado di consentire il pagamento tramite carte, non prevede alcuna sanzione in caso di mancata installazione del Pos o di mancata accettazione del pagamento. «Tale carenza - spiega il Consiglio di Stato - ha determinato, finora, la mancata applicazione dello specifico obbligo vanificando, di fatto, la previsione legislativa». In realtà la sanzione sarebbe dovuta entrare in vigore dal 1° febbraio 2016 proprio per effetto del decreto attuativo previsto dalla legge di Stabilità 2016 (legge 208/2015) che contestualmente aveva ridotto a 5 euro l’importo da cui accettare i pagamenti tracciabili.
Ma che cosa sta accadendo già ora in Italia? I numeri dell’appendice all’ultima relazione annuale di Bankitalia fotografano chiaramente la situazione: l’Italia ha, al momento, circa 2,5 milioni di apparecchi installati. Siamo più avanti di Regno Unito (2,1 milioni), Spagna (1,5 milioni), Francia (1,5 milioni), Germania (1,1 milioni). Il problema è che, dalle nostre parti, le operazioni per terminale sono appena 1.373 ogni anno: a Londra sfiorano le 7mila, a Parigi sono più di 6mila, a Berlino oltre 3mila. Addirittura rispetto all’Olanda (13.993) le “strisciate” di carte e bancomat nel nostro Paese sono un decimo. In pratica, i Pos ci sono ma sono poco utilizzati.
Per stimolare il mercato nasce, allora, l’idea di ripescare il regolamento previsto dal decreto Crescita del 2012 (Dl 179/2012), fissando delle multe con un’impostazione “creativa”: dal momento che la norma primaria non fornisce i dettagli delle sanzioni, si ripesca una norma esistente, applicandola per analogia a questo caso. Nello specifico, l’articolo 693 del Codice penale, che regola il rifiuto di accettare monete con corso legale: in questi casi scatta una sanzione di 30 euro. Questa sanzione dovrebbe essere applicata, secondo lo schema di decreto, anche a chi non accetta la moneta di plastica.
Questo assetto, però, secondo il parere del Consiglio di Stato, non regge. Obiettivi come la lotta al riciclaggio, all’evasione e all’elusione, infatti, devono essere raggiunti nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. E il richiamo all’articolo 693 è «non condivisibile sul versante strettamente giuridico». Non viene, cioè, rispettato il principio in base al quale nessuna sanzione «può essere imposta se non in base alla legge». I giudici amministrativi (presidente Zucchelli, estensore Capolupo) prospettano, però, anche una soluzione: la sanzione va «ricercata all’interno dell’ordinamento giuridico che disciplina le attività commerciali e professionali. In altri termini, nel caso in esame potrebbe trovare applicazione una già esistente norma di chiusura, prevista dal vigente quadro giuridico di riferimento, che sanzioni un inadempimento di carattere residuale».
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