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Stop alle newsletter pubblicitarie senza consenso informato

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la sentenza della cassazione

Stop alle newsletter pubblicitarie senza consenso informato

Semaforo rosso della Cassazione per le news letter che danno informazioni professionali gratuite in “cambio” del trattamento dei dati personali da cedere eventualmente anche a terzi, se la “raccolta” è fatta senza un consenso informato «libero e specifico».

La Corte di cassazione, con la sentenza 17278, accoglie il ricorso del Garante della privacy e ammonisce i titolari del trattamento, imponendogli di abbandonare qualunque tipo di «stratagemma, opacità, sotterfugio, slealtà, doppiezza o malizie» per ottenere un via libera all’uso dei dati senza spiegare nel dettaglio per quali scopi e da chi verranno utilizzati.

La procedura scorretta - Nel mirino dei giudici è finita una Srl, che subordinava l’invio di una news letter gratuita su temi legati alla finanza, al fisco, al diritto e al lavoro. Per l’accesso era richiesto l’inserimento dell’indirizzo e-mail e, alla fine del form di raccolta dati, c’era la casella di spunta, la cosiddetta checkbox, che costituiva un passaggio obbligato per l’accettazione, senza la quale era negato il servizio. Per sapere qualcosa in più sugli effetti del trattamento dei dati personali era necessario andare in un’altra pagina web, attraverso un link che rimandava alla normativa sulla privacy, dove si poteva apprendere che i dati acquisiti con l’iscrizione sarebbero stati usati non solo per la fornitura del servizio richiesto, ma anche per comunicazioni promozionali e informazioni commerciali da parte di terzi.

Senza specificare il contenuto di tali “pubblicità”. Un percorso tortuoso e poco trasparente che aveva passato il vaglio del Tribunale secondo il quale gli obblighi sulla riservatezza erano stati rispettati. La Suprema corte è più stringente a partire dalla nozione di consenso informato, che non può mai essere generico, ma sulla scia di quanto accade nel settore della sanità, deve essere «libero e specifico» , e senza compressioni.

Il consenso informato - La Cassazione sgombra il campo dall’equivoco che si possa fare ricorso allo stesso consenso generale richiesto per scopi negoziali. La necessità di un consenso”rafforzato” è dettata dall’esigenza di bilanciare la situazione di debolezza in cui si trova l’interessato sia dal punto di vista della “asimmetria informativa” sia rispetto alla tutela contro possibili tecniche commerciali aggressive o suggestive. Per i giudici è importante scongiurare il rischio, molto concreto vista l’evoluzione delle tecnologie, di un trattamento di massa dei dati. Una corretta lettura del Codice della privacy (articolo 23) impone una stretta, soprattutto quando, come nel caso esaminato, la prestazione offerta dal gestore Internet non è irrinunciabile.

La trasparenza - L’utente che non “gradisce”interferenze indebite, può acquisire le informazioni professionali per altre vie, su siti a pagamento o su carta, e il gestore è libero di negare il servizio a chi non è disponibile a ricevere informazioni pubblicitarie. L’ordinamento non vieta, infatti, lo scambio di dati personali a patto che sia frutto di un consenso non “coartato”. Per essere in regola è necessario specificare che genere di messaggi promozionali invieranno il gestore e i terzi e il consenso prestato deve essere dettagliato per ciascun settore merceologico. Il tutto va indicato accanto da una specifica”spunta” posta nella relativa casella della pagina web e non in un’altra “collegata” alla prima. Diversamente non si ha la certezza che chi clicca su “accetta” abbia letto tutto e l’utente, non ha la garanzia di riceve solo notizie relative al fisco e al diritto, ma può correre il rischio di essere informato anche sulle caratteristiche delle pentole.

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