Sono passati quasi sei mesi dalla firma del decreto che “sblocca” anche in Italia la sperimentazione dei veicoli a guida autonoma, ma è ancora come se nulla fosse accaduto: ci sono tanti aspetti da chiarire perché eventuali interessati possano presentare richieste di autorizzazione. E non sarà facilissimo chiarire tutto se nel frattempo non si modificherà il Codice della strada: il Dm Infrastrutture 70/2018 (datato 28 febbraio e pubblicato il 18 aprile) appare in contrasto perlomeno con l’articolo 46 del Codice.
Infatti, quest’ultimo definisce i veicoli come «tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall’uomo». Quindi l’Italia ha una norma con forza di legge che non lascia spazi a macchine guidate dall’intelligenza artificiale e appare difficile che un decreto ministeriale possa cambiare le cose, essendo una norma di rango inferiore. E in ogni caso il Dm 70/2018 non appare formulato tenendo conto di questo problema.
Quindi ciò che nella realtà dei fatti è un veicolo a guida autonoma non può essere giuridicamente qualificata come «veicolo». Una contraddizione che si è cercato di superare nella circolare 300/A/3935/18/129/8/4 con cui il 15 maggio il dipartimento Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno ha diramato le prime istruzioni per i corpi di polizia: la nota stabilisce tra le altre cose che, se il mezzo circolasse senza targa prova (prescritta dal Dm), l’eventuale presenza della targa d’immatricolazione originaria non sarebbe sufficiente a sostituirla perché riferita all’esemplare uscito dalla fabbrica, prima che venissero apportate le modifiche tecniche necessarie per la guida autonoma. Un ragionamento uguale a quello che di farebbe con un qualsiasi «veicolo». Confermato dal fatto che la circolare in questo caso ritiene applicabile anche l’articolo 78 del Codice che punisce chi circola con un «veicolo» non conforme alle caratteristiche con cui è stato omologato.
Dove però la circolare non è riuscita a superare le contraddizioni è sul tema di chi multare qualora un mezzo a guida autonoma commetta infrazioni durante la sperimentazione. L’articolo 10 del Dm introduce la figura del «supervisore» (la persona che si trova a bordo e deve essere pronta a intervenire manualmente in caso di necessità), perché nel caso della guida autonoma non si può parlare di «conducente» tranne quando il “pilota automatico è spento. Senonché, l’articolo 10 stabilisce che il supervisore «ha la responsabilità del veicolo», espressione che secondo il ministero dell’Interno non basta a ritenerlo «trasgressore» in caso d’infrazione commessa in modalità autonoma, «stante - recita la circolare - la difficoltà di poter considerare autore un soggetto che non riveste sempre il ruolo di conducente del veicolo». Così ci si sta ancora riflettendo su. Nel frattempo, pagherà sempre il proprietario.
Nel frattempo, con queste premesse, sarà difficile che vengano rilasciate autorizzazioni: sia gli enti proprietari delle strada (che dovrebbero dare il nulla osta a sperimentare su tratti di loro competenza) sia la Motorizzazione (che dovrebbe rilasciare l’autorizzazione ai test) sono indotti ad andare coi piedi di piombo. Insomma, se l’Italia resta in retroguardia sulla guida autonoma anche dopo essersi data una norma, non è solo perché il Dm pone la tagliola dell’obbligo di nulla osta alle modifiche sul veicolo rilasciato dal costruttore, cosa che di fatto taglia fuori chi a un costruttore vorrebbe fare concorrenza (si veda Il Sole 24 Ore del 24 giugno).
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